Rugby contro il regime

Piccolo Eliseo . Debutta Mar Del Plata, storia di sport e desaparecidos
Rugby contro il regime
2 min

Potevano scappare, ma non l’hanno fatto. Hanno scelto di restare e giocare fino all’ultimo minuto i ragazzi del rugby argentino di Mar Del Plata, un gesto coraggioso che racconta gli anni ’70 di un paese stufo della dittatura e che non ha paura di combattere per i propri diritti.

Dopo il brutale assassinio di un loro compagno di squadra, solo perché militante del movimento studentesco, i ragazzi dedicano non uno, ma dieci minuti di silenzio prima della partita successiva al loro compagno, nonostante l’arbitro avesse fischiato l’inizio dell’incontro; minuti preziosi che cambieranno per sempre le loro vite.

Decimati uno ad uno dai militari, non smisero di giocare il campionato fino al giorno in cui l’ultimo sopravvissuto, Raul Barandiaran, ancora oggi testimone vivente della squadra, decise di correre solo contro la violenza e l’oppressione, tenendo stretta al petto la palla ovale. Raccontata dal romanzo di Claudio Fava, la vicenda simbolo della lotta argentina trova oggi un nuovo adattamento teatrale nello spettacolo diretto da Giuseppe Marini basato sul testo teatrale di Fava, in scena al Piccolo Eliseo a partire dal 4 novembre, prima nazionale in programma alle ore 20.

Interpretato da Giovanni Anzaldo, giovane talento del teatro e del cinema italiano, Claudio Casadio, Fabio Bussotti con Andrea Paolotti, Fiorenzo Lo Presti, Edoardo Frullini e Tito Vittori, è un esempio di storia di desaparecidos che l’autore paragona alla sua Sicilia dopo la scomparsa del padre: «Si moriva in Argentina come in Sicilia perché una banda di carogne regolava in questo modo i propri conti con i dissidenti. Pensarla storta, fuori dal coro, era un peccato imperdonabile».

Fava ha provato a immaginare i pensieri e i gesti di quei ragazzi di cui ha conservato le idee ma non i nomi, tranne il sopravvissuto Raul, ribattezzandoli in modo che portassero sul palco qualcosa in più della propria storia e della propria morte, perché in fondo argentini o siciliani, l’importante è come vissero e come seppero dire di no.


© RIPRODUZIONE RISERVATA