Blade Runner 2049, la recensione

Giovedì esce nelle sale italiane il seguito del capolavoro di Ridley Scott
Blade Runner 2049, la recensione© AP
Simone Zizzari
3 min

ROMA - Quando si parla di Denis Villeneuve è difficile restare obiettivi. Il solo fatto di aver accettato poi una sfida cosí proibitiva come realizzare a 35 anni di distanza il sequel di un film entrato di diritto fra gli immortali della storia del cinema rende la missione del recensore ancora più ardua. Non resta quindi che fare una scelta: decidere di paragonare Blade Runner 2049 al primo capitolo o recensirlo come un film a sè. Sarebbe più giusta la prima scelta, meno complicata nell’analisi della pellicola la seconda. Lo faremo entrambi. Blade Runner 2049 è un film straordinario, un immenso sogno ad occhi aperti, una pellicola potente sia nei contenuti che nella resa visiva. A tratti ti lascia a bocca aperta per la perfezione delle immagini e per la resa di una fotografia complessa e allo stesso tempo avvolgente grazie al perfetto equilibrio fra i colori scuri e ocra, perfetti nel descrivere una società post-atomica. In parole povere questo 2049 non è (non può essere) allo stesso livello del primo Blade Runner ma è tanta roba lo stesso. Il sublime Ryan Gosling dimostra ancora una volta la sua duttilità e la sua capacità di immergersi in un personaggio (Joe) dalle due anime che durante il film subirà una trasformazione interna piuttosto complicata. L’atteso incontro con Deckard (Harrison Ford) arriverá verso la fine del film ma la lunga attesa verrà ripagata adeguatamente (e qui ci fermiamo per evitare spoiler). Passiamo alle atmosfere del film che per stessa ammissione del regista ricalcano quelle del primo capitolo: dark, soprattutto notturne, quasi sempre sotto la pioggia e illuminate dai led e dagli ologrammi mastodontici che popolano la grande città di Los Angeles. Gli effetti speciali sono stupefacenti ma la bravura di Villeneuve è stata quella di non abusarne per non creare uno stacco troppo netto con il film di Ridley Scott.

Passiamo alle note negative (poche, per fortuna). La pecca più grave è la mancanza di un villain all’altezza di quel mostro sacro di Roy Batty (ricordate tutti Rutger Hauer, no?). Nainder Wallace (interpretato da Jared Leto) si vede in un paio di scene, troppo poche per poter ritagliarsi il ruolo importante che un cattivo meritebbe. L’altra pecca è più intangibile: questo sequel non ha la poesia del primo. Ha un corpo, una struttura meravigliosa ma non ha la stessa anima, non riesce a trasmettere quelle emozioni che trasformarono il lavoro di Ridley Scott in un’opera leggendaria.

Resta lo straordinario lavoro di Villeneuve che ha accettato una sfida impossibile e ne è uscito in modo degno non sfigurando con il predecessore. Blade Runner 2049 è un’opera da conservare e - se non si perderà troppo tempo a fare degli inutili confronti con il passato - da consegnare nelle mani delle generazioni future.


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