Luca Barbareschi: «Ho trovato "i segnali d'amore"»

"Cercando segnali d'amore nell'universo", un divertente one-man-show musicale, raccontato da un artista che crede nella vita e nell'amore
Luca Barbareschi: «Ho trovato "i segnali d'amore"»
4 min

Al Teatro Eliseo, dal 21 dicembre al 3 gennaio 2016, per la regia di Chiara Noschese, "Cercando segnali d'amore nell'universo" di Luca Barbareschi. Grandi amori, avventure, smarrimenti esistenziali, solitudini e amicizie fittizie o autentiche, tutti in uno spettacolo dal ritmo serrato che parte da lontano e approda ai ricordi più recenti, un mosaico di episodi divertenti, intimi e commoventi che ripercorrono la vita dell'artista.

Dove ha trovato i “segnali d’amore nell’universo” che echeggiano nel titolo dello spettacolo?
Nella mia vita, in questi oltre quarant'anni di carriera, attraverso le voci degli artisti, degli amici, dei colleghi, delle persone e degli scrittori che ho incontrato, perché ogni atto creativo è un atto d'amore straordinario. Si impara più iniziando ad ascoltare e grazie agli incontri che ho fatto mi considero un uomo molto fortunato. Con Chiara Noschese abbiamo trasformato l’idea di un libro in uno spettacolo molto divertente, in cui racconto tanti episodi della mia vita insieme a tante tappe della mia carriera: gli incontri con Tommasi di Lampedusa, Cervantes, Shakespeare passando per Mamet. Ne è uscito fuori uno spettacolo bellissimo, forse la cosa più bella che ho fatto nella mia carriera. Chi ha visto i miei spettacoli, ormai ho quasi 42 anni di carriera, questa è la cosa più forte e più bella che ho fatto, di impatto di divertimento.

Cosa vorrebbe dicesse il pubblico una volta uscito dal teatro dopo aver assistito a Cercando segnali d’amore nell’universo?
Quello che ho sentito dire nella tournée al Nord che ho fatto: “questo spettacolo mi ha mosso tantissimo”, “ho riso tanto”, “ho pianto tanto”, “grazie di avermi comunicato queste emozioni”. Io credo che questo sia il dovere di ogni artista.

Cosa sogna per l’Eliseo che dirige?
Di continuare in questa direzione. È stata una partenza importante, noi vogliamo creare una comunità per abituare la gente a uscire di casa, senza pensare che siamo cablati nel cervello da quei quattro ragazzini della Silicon Valley che hanno creato algoritmi e siti in cui ci sono finte amicizie, finti messaggi. Riscopriamo le nostre tradizioni e il rapporto con il nostro prossimo, un rapporto umano, fatto di comprensione, generosità, accoglienza e di interesse per la sofferenza degli altri. 

Saprebbe dare un aggettivo a tutti i grandi personaggi che ha incontrato nella sua splendida storia?
Posso dire che sono tutti molto umili. Polansky, Mamet, Kundera, Marguerite Duras, Sheppard, Nancy Mayers, Meryl Streep, potrei fare un elenco infinito. La lezione che ho imperato è cercare di mettersi sempre in gioco, non adagiarsi sul proprio cliché, il nostro è un artigianato industriale, bisogna continuare a viverlo con passione.

Credere che il percorso creativo non è mai un percorso finale ma sempre un work in progress costante. Nel caso dell'attore è complicato perché tu stesso sei lo strumento della tua creatività, un musicista lavora con uno Stradivari, l'attore deve fare di se stesso uno Stradivari e poi suonarlo come Uto Ughi per fare un esempio. Il mestiere dell'attore è un percorso emotivo, spirituale e straordinario, un mestiere da sciamani, quando lo fai molto bene hai una grande responsabilità perché sai che puoi fare del bene alla gente, puoi commuoverli, arricchirli oppure abbruttirli. E la prima strada è la più bella da percorrere. Penso sia importante infatti celebrare ogni sera la nostra messa laica, ovvero il teatro e non appiattirsi cercando di dimenticare le proprie tradizioni perché è il primo passo verso la demenza. 


© RIPRODUZIONE RISERVATA