Calcio e acciaio a Taranto e la leggenda dell'imbattibile Ungheria

Un romanzo tra rabbia e ricordo per quelle generazioni di ragazzi, appassionati del pallone, travolti a Taranto dai veleni dell'Ilva. E poi l'epopea della Grande Ungheria, che negli Anni Cinquanta umiliò due volte i maestri inglesi e perse solo una partita: la più importante...
Calcio e acciaio a Taranto e la leggenda dell'imbattibile Ungheria
Massimo Grilli
4 min

«La Carbonara, Ripiano e Papalia; De Tuglio, Andrisani e Guarino; Catapano, Casile, D’Alò, De Gennaro, Capozza. Dormono tutti sotto la collina. E i nomi vorrei gridarli. Insieme ai loro, quelli di mille altri che correvano dietro una palla senza pensare, mentre la fabbrica “pensava” a loro». Struggente Spoon River tarantina, questo prezioso e bellissimo libretto è un grido di dolore per quelli che non ci sono più e di rabbia per quelli che forse sapevano ma che hanno voluto ignorare le conseguenze dell’inquinamento dell’impianto dell’Italsider, poi diventato Ilva. E’ la storia di due generazioni di ragazzi - di cui i nomi nelle prime righe, giocatori tutti morti di cancro, formano la formazione “ideale” dell’Ilva Football Club - protagonisti di interminabili partite sulla terra battuta del vecchio campo Tamburi, nell’omonimo quartiere della città pugliese, a pochi metri dall’impianto industriale, che per troppi anni ha sparso nell’aria che quei ragazzi respiravano il suo fiato velenoso. Vite perdute e vite che resistono nella memoria, grazie anche allo sforzo di chi ha voluto restituire un volto e una storia a nomi di amici, parenti, allenatori, sacerdoti, tutti sacrificati nel nome del “benessere”, parola magica che ha permesso tanti scempi ambientali. La ricerca così della maglia grigia “color siderurgico” della Labor, una delle squadre simbolo del quartiere operaio, diventa un grande racconto collettivo nel nome di tutti quei ragazzi che - anche inseguendo un pallone - lasciarono la giovinezza e il suo carico di speranze sul campo Tamburi. Vicino, troppo vicino alla fabbrica più inquinata d’Europa.
ILVA FOOTBALL CLUB, di Fulvio Colucci e Lorenzo D’Alò; Kurumuny Editore, 77 pagine, 8,50 euro.

(Furio Zara) Scrive Gianni Mura nella prefazione: «Vorrei dire che questo libro è bello come un film, ma sono troppo tifoso dei libri per dirlo». Ci sono squadre che hanno fatto la storia, altre che sono storia. La Grande Ungheria: tutte e due le cose. Sono passati sessant’anni dalla rivoluzione di Budapest, la rivolta anti-sovietica che per poco più di due settimane incendiò la capitale ungherese: più di tremila morti tra cittadini e soldati, migliaia di feriti, oltre 250.00 persone fuggite altrove. In quei giorni finì drammaticamente il suo corso una delle squadre più forti di tutti i tempi, «una squadra moderna», scrive Roberto Beccantini nella postfazione, composta da un gruppo di giocatori di cui oggi - assuefatti da video di presunti fuoriclasse che si rivelano subito tarocchi - ne abbiamo perduta memoria. L’Aranycsapat, la squadra d’oro, la nazionale magiara, quell’Ungheria capace di battere - anzi, no: umiliare - per ben due volte gli inglesi, quelli che il calcio si vantavano d’averlo inventato, oh yes. Dal giugno del ‘50 al novembre del ‘55: 50 partite, 43 vittorie, 6 pareggi e una sola sconfitta, nel giorno più importante: la finale del Mondiale di Germania ‘54, a Berna, contro i tedeschi (probabilmente dopati). Storie, tante storie in questo libro, intrecciate come fili di lana in un maglione, a colpi definitivi di uncinetto; e poi vita, morte, dolore, attese, speranze venate subito di rimpianti. Verrebbe da dire: c’è tutto per farne una serie-tv. Leggendo questo libro prezioso, vi chiediamo di assaporare i nomi, gustarne il suono: Puskàs, Czibor, Kocsis, Hidegkuti. E poi Kubala, Nyers. Quella squadra incarnava «i sogni, la speranza di farcela, l’eleganza, la bellezza» ed era - scrive l’autore, il giornalista di «Repubblica» Luigi Bolognini - «la depositaria unica dell’orgoglio nazionale». Poi la guerra spazzò via tutto. Uomini, record, gol, ricordi.
LA SQUADRA SPEZZATA, La Grande Ungheria di Puskàs e la Rivoluzione del 1956, di Luigi Bolognini, 66THA2ND edizioni, 154 pagine, 17 euro


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