Due libri sul Torino e le magie di Recoba

Due libri sul Torino: quello scudetto "rubato" del 1971 e sedici scrittori si misurano con il Grande Torino. E poi la carriera dal sinistro fatato di Alvaro Recoba
Due libri sul Torino e le magie di Recoba
Massimo Grilli
6 min

Il fascino delle maglie granata del Torino - che siano o meno indossate dal GRANDE Torino - continua immutato a fare proseliti. Per questo, immaginiamo, è sempre copiosa la produzione di libri su questa storica squadra, malgrado le altalenanti vicende più moderne. Molto divertente e ben scritta la ricostruzione del campionato 1971/72, concluso dal Torino al secondo posto a una sola lunghezza dal Milan e in gran parte incentrato sulla celebre partita di Genova del 12 marzo del 1972, vinta sotto il diluvio dalla Sampdoria per 2-1, e sul fattaccio che ancora si tramanda da tifoso a tifoso: un gol fantasma del Torino su tiro di Agroppi respinto sulla linea di porta (oltre la linea?) da un certo Marcello Lippi. L’arbitro, Barbaresco di Cormons, cambiò tre volte decisione, prima di non convalidare definitivamente la segnatura, tra mille polemiche. Un arbitro friulano, come friulano era Toselli, contestatissimo a sua volta in un Milan-Torino 1-0 del mese successivo. Insomma, mettendoci dentro anche il singolare caso di doping “al contrario”, con i giocatori granata imbottiti di sedativi prima di una partita di Coppa Uefa con il Las Palmas - persa per 4-0 - c’è abbastanza carne al fuoco per orchestrare un libro - a metà tra la fiction e l’indagine giornalistica - che è indubbiamente «settario, prevenuto e cattivo», come scrive Gian Paolo Ormezzano nella prefazione, e che vale assolutamente la pena leggere. Con i titoli dei giornali del tempo, le testimonianze dei protagonisti, le schede di quella sfortunata squadra granata.
Bacigalupo, Ballarin, Maroso; Grezar, Rigamonti, Castigliano; Menti, Loik, Gabetto, Mazzola, Ferraris II (Ossola). La formazione degli Invincibili del Grande Torino resta scolpita nella memoria di tutti gli appassionati di una certa età. Questo libro - frutto del lavoro di sedici scrittori, ciascuno a tratteggiare un racconto particolare, quasi una favola - reitera il ricordo e lo spessore di una squadra più forte anche delle barriere del semplice tifo, un gruppo invincibile i cui successi e i cui personaggi furono tra i primi (e pochi) motivi di orgoglio di una nazione appena uscita dai disastri della guerra, come viene sottolineata dal bel viaggio nel web di Jvan Sica, capace di trovare nelle città italiane strade, piazze e stadi dedicate a quello squadrone. A chiudere questo bell’atto d’amore una commovente intervista all’ultimo superstite del Grande Torino, Sauro Tomà, 92 anni il 4 dicembre, che saltò per un infortunio la tragica trasferta a Lisbona. «Entrai al Filadelfia timoroso, proprio come se stessi per entrare all’interno di un luogo sacro. Quello era un campo inespugnabile, la “Fossa dei Leoni”…».
LO SCUDETTO “RUBATO”, di Francesco Bramardo e Gino Strippoli; edizioni Priuli&Verlucca, 175 pagine, 14 euro.
IL GRANDE TORINO, CAMPIONI PER SEMPRE; sedici scrittori raccontano l’epopea degli Invincibili; a cura di Pietro Nardiello e Jvan Sica, Absolutely Free Editore, 203 pagine, 13 euro.

(di Furio Zara) E tra un paio di milioni di anni il dio del calcio riunirà tutti i fuoriclasse della storia e chiederà ad ognuno di loro e tu chi sei stato? Allora si farà avanti Alvaro Recoba e dirà: «Ho fatto molto, ma non abbastanza. Mi sono saputo accontentare del talento che ho ricevuto in dono e ogni volta che ho potuto l’ho regalato a chi veniva a vedermi, così, come il vento regala la sua brezza e dà sollievo in un giorno d’estate. Sono stato un artista, non un atleta, questo è bene che lo ricordiate»; e poi se ne andrà, con l’andatura curva, gli occhi stretti a mandorla - El Chino - e un sorriso che solo lui sa. Prima di dirci chi era Recoba - come da titolo del bel libro edito da«inContropiede» cui va il nostro plauso per la qualità che ogni volta propone - il collega Enzo Palladini, ex firma del Corriere dello Sport e oggi caporedattore a Premium Sport, ci dice che c’è stato un tempo in cui - noi tutti che amiamo il calcio - siamo stati sommamente felici. Quello è stato il tempo frequentato da Alvaro Recoba, il piede sinistro più diabolico e fatato della sua generazione, il gingillo di Moratti che l’ha amato come nessun altro mai, l’uruguagio dall’aria sonnolenta che in campo risvegliava l’antico piacere del calcio giocato per dare gioia, libidine, piacere fisico, prima di tutto a se stessi. Possiamo star qui un paio di settimane a discutere se Recoba sia stato un fuoriclasse o una promessa mancata, non se ne esce. Recoba divide. O con lui. O dall’altra parte. “Dimmi chi era Recoba” ci aiuta - attraverso storie, aneddoti, curiosità, retroscena e un racconto che si beve d’un fiato - a comprendere cosa significhi la parola «genio» applicata al calcio. Non sappiamo se Recoba sia stato un campione. Sappiamo che aveva del genio, ne aveva a pacchi, tanto da far star male chi lo guardava calciare il pallone con il piede mancino e pensava che se Dio avesse avuto tempo per fare due tiri, è esattamente così che l’avrebbe colpito, quel benedetto pallone.
DIMMI CHI ERA RECOBA, di Enzo Palladini; edizioni inContropiede, 127 pagine, 14,50 euro.

 


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