Alex Polita, un italiano all’Isola di Man

“In Italia i piloti non vengono rispettati e per correre il regionale bisogna spendere milioni di euro. Allora... meglio le road race... Meglio il TT!”
Alex Polita, un italiano all’Isola di Man
Riccardo Piergentili
6 min

Alex Polita ha guidato di tutto, dalle moto da cross alle Superbike del mondiale. Alex Polita ha vinto tanto, in tutte le discipline. La sua carriera spiega che un pilota di velocità ma, a differenza della maggior parte dei piloti della velocità è affascinato dalle road race, soprattutto dal Tourist Trophy. In un sistema sano, Polita avrebbe voluto continuare a gareggiare in circuito. Secondo Alex, però, il sistema è marcio ed è per questo motivo che lui non vuole più farne parte. Per questo, dal 2016, Alex Polita dirà addio alla velocità per sposare le road race, iniziando dalla più famosa, il TT.

Dopo anni di velocità, dove hai trovato il coraggio per cambiare vita agonistica, puntando sulle road race?
“Io ho già corso il BSB, dove la maggior parte delle piste erano già delle road race!”.

Sei già stato all’Isola di Man? Che impressione hai avuto del percorso?
“Dopo la mia prima visita mi è sembreto tutto meno complicato del previsto. Poi... dipende sempre da come devi affrontare la corsa. Correre il TT per battere il record, alla John McGuinness, è un’altra cosa. Lui fa venire l’ansia, anche solo guardandolo!”.

Come ti hanno accolto in Inghilterra?
“Dal momento che ho deciso di correre il TT, gli organizzatori mi hanno garantito il massimo della disponibilità e il massimo delle attenzioni, come se fossi uno vero! Questo mi stupisce un po’, però mi ha fatto un immenso piacere”.

Forse perché sei uno vero...
“O me lo scordo io, oppure solo in Italia non se lo ricordano. Da noi se non ti presenti in pista con qualche milione di euro per correre il campionato regionale non sei uno vero”.

Come è iniziato il tuo rapporto con gli organizzatori del TT?
“Mi ero rotto le scatole di lavorare senza guadagnare. Ho scritto una mail agli organizzatori, sapendo che non avrei mai ricevuto risposta. Quella risposta, invece, è arrivata dopo sette minuti. Come in Italia... Mi hanno risposto e mi hanno detto che mi conoscevano, perché sapevano che avevano vinto un sacco di titoli. Ti dico la verità... alcuni li avevo addirittura rimossi dalla memoria!”.

Perché non hai continuato a puntare sulla velocità?
“Lo scorso anno per me è stato un calvario, perché sono stato abbandonato. Ti confesso che mi ero davvero rotto i coglioni di essere trattato senza rispetto. Ognuno di noi ha una dignità. Correre in Italia significa rinunciare a questa dignità. Mi dispiace dirlo ma è così. Ho tanta rabbia dentro e questo mi porta ad essere polemico a fare delle affermazioni che forse non dovrebbero essere fatte. Però all’estero tutto funziona meglio e soprattutto ogni pilota viene rispettato per cuò che fa. È un dato di fatto”.

Quindi hai scelto le road race anche per poterti guardare allo specchio senza vergognarti di te stesso?
“Sì. Essere un pilota è un investimento. Un pilota è un atleta e vivere da atleta ha un costo, al quale vanno aggiunti dei rischi. Per questo un pilota meriterebbe un rispetto. Purtroppo in Italia non è così. In Italia correre o non correre è solo ed esclusivamente una questione economica. È una storia vecchia, per carità, però non è possibile che solo ed esclusivamente i soldi influenzino la carriera di un pilota”.

Se gli organizzatori del TT non ti avessero risposto, cosa avresti fatto?
“Oggi anche chi ha talento e ha vinto delle gare e dei titoli è costretto ad elemosinare una sella. Allora meglio lasciare stare. Quindi la risposta alla tua domanda è... sarei rimasto in officina con mio padre a costruire una café racer”.

Hai deciso di correre il TT perché non avevi alternative, oppure la tua è stata una scelta?
“A differenza di altri piloti di velocità io ho sempre voluto correre il TT, come sogno di correre la Dakar. Non farmi troppe domande, perché attualmente ho più sogni che certezze. Voglio dire... a questo punto al TT 2016 ci sarò, perché gli organizzatori mi hanno già ospitato sull’Isola di Man e sottolineo... ospitato. Mi hanno fatto vedere il percorso in auto, spiegandomi quali sono i punti critici. So che correrò nelle classi Stock 1000 e Senior con una BMW S 1000 RR, probabilmente gommata Metzeler. Punto”.

Qual è la zona del tracciato che ti ha impressionato di più?
“I piloti più esperti sostengono che la parte più difficile del percorso sia la prima. Io non sono d’accordo. È vero, all’inizio si viaggia a 300 km/h in mezzo alle case ma senza essere in piega. A me ha fatto molta più impressione il Mountain, che sembra il Mugello con dei burroni al posto delle vie di fuga! E in quel tratto non sei dritto...”.

Non posso non chiederti cosa pensano i tuoi genitori della tua scelta dopo quello che è accaduto a tua sorella Alessia.
“Non vogliono sapere nulla. Quando ho detto ai miei genitori che avrei corso il Tourist Trophy è successa una tragedia. Non immagini. A casa mia il TT è un argomento di cui non si può parlare. Lo farò e basta ma non ne posso parlare con la mia famiglia”.

Hai descritto il TT come uno sogno, spiegandomi che vorresti correre anche la Dakar. Qual è il tuo vero obiettivo? Vorresti diventare un professionista delle road race?
“Ho parlato con Stefano Bonetti e Alessio Corradi, che hanno corso il TT. Loro mi hanno detto che dopo avere gareggiato all’Isola di Man non potrò smettere con le road race. Io so bene che per vincere un TT bisogna vivere all’Isola di Man e so bene che il primo anno sarò lontano dai primi. Però spero di essere più competitivo il secondo anno e di essere veloce il terzo anno. Questo è il mio sogno. Spero di avere risposto alla tua domanda...”.


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