In-dimenticabili: Trabant, quando la classe operaia va in paradiso, con poco

La Trabant è stata la vera auto del popolo della DDR. Prodotta in più di 3 milioni di esemplari, ha leteralmente accompagnato un popolo verso la libertà
In-dimenticabili: Trabant, quando la classe operaia va in paradiso, con poco
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A guardarla con gli occhi di oggi la Trabant, classe 1957, non è che un’auto semplice, poco moderna (anche per i suoi tempi) e a dirla tutta brutta. Ma la Trabant, prodotta nella ex DDR dal 1957 fino al 1989 e poi nella Germania unita post muro, fino al 1991 è molto di più: è un simbolo, una vera e propria icona di un mondo e di un tempo che non esistono più. Per capire perché, bisogna fare un passo indietro, nella Germania dell’Est dei primi anni ’50, dove il popolo iniziava a respirare voglia di borghesia e a sognare un salario maggiore per poter acquistare, ad esempio, un’auto, come quelle dei funzionari di governo, gli stessi che nel 1953 soffocarono nel sangue la rivolta degli operai impiegati nelle fabbriche, in sciopero per l’aumento delle quote lavoro (non retribuite). Una Germania separata, attraverso un muro, da quell’Europa che produceva, ma soprattutto consumava beni per i quali l’utilità passava in secondo piano, superata dall’estetica e dal design.

Nei primi anni ‘50, nella Germania dell’Est la maggior parte delle auto circolanti uscivano dagli stabilimenti della Automobilwerk Eisenach, casa automobilistica fondata nel 1896 a Eisenach da Heinrich Ehrhardt, specializzata in autoveicoli di fascia medio-alta e veicoli militari (le due guerre imposero a tutte le case automobilistiche europee una specializzazione in veicoli da utilizzare sul campo di battaglia), che chiuderà i battenti nel 1991 con una produzione complessiva di circa 1.840.000 esemplari. La EMW 309 e la Wartburg 311, in produzione in quegli anni erano costose per le classi meno abbienti e la Germania dell’Est aveva un parco auto assolutamente esiguo, destinato a chi poteva permettersi beni di lusso: politici, funzionari di governo o di partito, capi militari, pochi imprenditori. Il popolo di Berlino Est usava i mezzi pubblici, o si spostava in bici e a piedi, sognando il traffico delle auto che risuonava dall’altra parte del muro e magari anche un po’ di inquinamento, che sapeva tanto di modernità. D’altra parte la rigidità e l’accentramento dei poteri e delle decisioni del governo tedesco non lasciavano libera iniziativa alle imprese e così la produzione della prima “macchina del popolo” prese il via nel 1954, quando il governo diramò alcune basilari specifiche di progetto, tra le quali: peso inferiori ai 600 kg, consumi ridotti a 20 chilometri per litro di carburante, costo non superiore a 4.000 marchi (6 mensilità circa, della paga di un operaio), produzione entro 18 mesi, divieto di utilizzare l’acciaio (merce davvero rara) per la carrozzeria.  Incaricata della produzione fu la VEB Sachsenring Automobilwerk Zwickau (originariamente, e in maniera un po’ abusiva, Kraftfahrzeugwerk Audi), casa nata dopo la seconda guerra mondiale che produceva auto, macchine agricole e furgoni, ma che conobbe gloria di lì a poco grazie alla P50, conosciuta come Trabant, “Trabi” per gli amici.

Gli ingegneri che si occuparono del progetto ebbero diversi problemi da risolvere: intanto l’autarchia, o meglio l’isolamento dai paesi dell’area Nato, che impediva, di fatto, di confrontarsi e assimilare le innovazioni prodotte all’estero, in paesi dove la ricerca in campo automobilistico, e la sperimentazione di nuovi design stavano creando auto sempre più “commerciali”. Altro ostacolo la centralizzazione delle decisioni: non c’era autonomia nelle scelte e ogni modifica, innovazione, nuova soluzione, doveva essere di fatto approvata dal governo, che il più delle volte decideva senza competenze tecniche e dopo infinite trafile burocratiche, scoraggiando le iniziative dei gruppi di ricerca. Aggiungendo la scarsa disponibilità di acciaio di cui soffriva la DDR, il quadro si può dire completo.

Le soluzioni adottate per la Trabant la resero un’auto unica, nel bene e nel male, che rifletteva la tenacia di un gruppo di lavoro, capitanato dall’ingegner Werner Lang, nel perseguire un progetto limitato dalla miopia di una classe politica a dir poco invadente. Si decise di agire sulla base della storica F8 degli anni ’40 e di alcuni prototipi, trai quali l’UR-P50, prodotto tra il 1951 e il 1952, recuperando quindi telaio, motore e cambio. Il progetto si trascinò fino alla fine dal 1955, quando con al vertice della Automobilwerk Zwickau fu nominato l’ingegner Wilhelm Orth, che delineò in maniera definitiva le migliorie da apportare al progetto. L’esigenza primaria fu quella di riuscire a innestare sul telaio in acciaio la carrozzeria in “Duroplast”, un materiale brevettato da poco formato da plastica e rinforzi in fibra di lana e cotone. Risolto il nodo, si passò a migliorare gli interni che dovevano ospitare 4 persone e finalmente freni e ammortizzatori. Terminata la fase di progettazione e realizzati i prototipi per il collaudo, le prove e le presentazioni alla stampa, per la P50 (non ancora Trabant) iniziò un lungo braccio di ferro tra il governo della DDR (che più volte minacciò di far saltare il progetto) e i vertici della Automobilwerk Zwickau.

La questione si risolse alla fine di novembre del 1957. Il 7 novembre, anniversario della rivoluzione Russa, entrò in produzione il primo lotto (una preproduzione) di P50 che presero il nome di Trabant “Compagno di viaggio” in tedesco, che riprendeva il nome dello “Sputnik”, lanciato dai russi appena un mese prima. Un vero e proprio ossequio al governo sovietico, che portò bene alla neonata piccola berlina.

Ancor oggi la linea dell’auto risulta molto semplice se non anonima. Spiccano le due code posteriori, molto in voga in America negli anni tra il 1950 e il 1970, e un rilievo longitudinale sul cofano anteriore. Un solo specchietto posteriore montato sopra il parafango e un aspetto complessivo un po’ tozzo che garantisce una buona abitabilità per 4 persone. Il motore della prima versione era un due tempi raffreddato ad aria, da mezzo litro, in grado di erogare una potenza di 18 cavalli, che garantiva all’auto una velocità massima di 95 km/h portata nelle versioni successive fino a 110 (30 km/h in più delle specifiche iniziali). Il cambio era a 4 marce, non sincronizzato, mentre l’accensione, prima nel suo genere, era elettronica. Il motore era davvero semplice, per non dire elementare, tanto che le riparazioni, spesso si facevano in casa.

Le vendite della Trabant iniziarono solo nel gennaio 1959, con un unico modello base, sostituito in giugno con un allestimento arricchito (ma pur sempre base) e affiancato da una versione a due e una a tre colori, con i prezzi che andavano da 7.450 Marchi (democratici) a circa 8500 Marchi: altra specifica di progetto non rispettata.

Già nel 1960 venne messa a listino anche la versione “Kombi”: una giardinetta che aveva un ampio portellone posteriore e la possibilità di abbattere i sedili posteriori. Il motore fu prima passato a 20 CV  di potenza, quindi fu anche “allungata” la quarta, perdendo in ripresa ma permettendo all’auto di raggiungere e superare la soglia dei 100 km/h, per raggiungere la quale si impiegavano 29 secondi. Nel 1961 una versione furgone della Trabant, basata sulla P50 fu avviata alla produzione e destinata all’utilizzo commerciale, mentre l’anno successivo, il motore da 500 centimetri cubici fu sostituito con un muovo propulsore da 600 centimetri cubici (Trabant P60). La P60 venne a sua volta sostituita nel 1964 dalla Trabant P601, che restò in listino fino al 1990, quando gli stabilimenti della Automobilwerk Zwickau chiusero definitivamente, fermando la produzione Trabant a 3.119.021 unità.

La Trabant inquinava, e tanto, per via del motore due tempi a miscela di benzina e olio, e ancora di più inquinava con la sua carrozzeria, impossibile da rottamare, ancora oggi, pensando a un riciclo. Ma La Trabant amava l’ambiente, e tanto: fu infatti la prima auto dell’est a salvare l’alce nell’omonimo test, subito dopo la caduta del muro di Berlino, al contrario delle ben più blasonate Mercedes Classe A, con tanta classe, charme ma con poca, pochissima tenuta di strada.

Nel corso del tempo la Trabant è diventata simbolo di una società tedesca che viveva la realtà sovietica ma sognava il mondo di oltre cortina. Quasi un placebo a sedare la sete di consumismo, ingenuo se raffrontato a quello vissuto dai tedeschi della Germania Ovest, appena di là del Muro per antonomasia, ma per il quale si potevano anche aspettare 12 anni, tra l’ordine e la consegna della vettura.

La rivincita dell’auto si ebbe nel 1989, il 9 novembre, quando alle 11.30, in mancanza di altre indicazioni, i soldati di guardia ai posti di blocco alzarono le sbarre e lasciarono che una folla di Berlinesi della Germania dell’Est attraversassero la frontiera subito seguiti da un lungo serpentone di auto, in fila da ore che alzavano dagli scarichi un denso fumo bianco. Erano le Trabant. Centinaia, migliaia di Trabant, erano lì, puntualissime all’appuntamento più importante della storia del ventesimo secolo e finalmente facevano quello per cui erano state costruite: viaggiare liberamente. Proprio la caduta del muro però determinò la fine della produzione dell’auto e la chiusura della Sachsenring Automobilwerk, incapace di reggere l’urto delle case automobilistiche europee (e non solo), e delle centinaia id modelli di auto che circolavano per le strade della Germania Ovest.

La Trabant a 26 anni dalla fine della produzione conta un parco macchine circolante (per lo più in Germania) di circa 50.000 unità. L’auto stata ospitata sul palco degli U2 nello ZOO TV Tour ed è stata resa immortale da Kani Alavi, che nella Est Side Gallery, l’ha raffigurata in un murales nell’atto di sfondare il muro di Berlino e raggiungere la parte Ovest, mentre per chi vuol capire cosa volesse dire girare per Berlino in Trabant, una buona approssimazione viene dal “Trabi Safari”, un tour per Berlino alla guida di una Trabant, per un tour che ripercorre tutte le zone significative della guerra fredda, rivissute grazie alle spiegazioni di una guida.


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