La judoka Rafael Silva: «Il mio oro è merito di Neymar»

La nuova eroina brasiliana: «Il calciatore del Barcellona mi ha aiutato in un momento di grande difficoltà»
La judoka Rafael Silva: «Il mio oro è merito di Neymar»© REUTERS
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RIO DE JANEIRO - «Se sono qui con questa medaglia d'oro al collo lo devo anche a Neymar». Una dedica speciale e un sorriso di chi non ha vergogna a mostrare l'apparecchio sui denti, consapevole che le lacrime di quattro anni fa a Londra quando a 19 anni fu eliminata per squalifica al secondo turno, sono ormai solo un lontano ricordo. Rafaela Silva, a 48 ore dalla vittoria dell'oro olimpico (il primo per il Brasile a Rio 2016), ringrazia pubblicamente l'attaccante della selecao, Neymar, «perché mi ha aiutato in un momento molto difficile della mia vita». Dopo la delusione olimpica la nuova eroina brasiliana fu sommersa di insulti razzisti sui social con molti connazionali che la invitavano a mollare il judo, la chiamavano scimmia: «È stato un momento davvero terribile - ha spiegato - Avevo 19 anni, era la mia prima olimpiade e io volevo solo sognare. Dopo quegli insulti ho pensato davvero di mollare tutto. Non volevo più star male, non volevo più essere offesa». Poi succede qualcosa e alla ragazza venuta da Cidade de Deus scatta la molla: «Neymar mi ha mandato un messaggio - ha confessato - mi ha invitato a non mollare, a lottare per i miei sogni».

Cresciuta in una delle favela più famose della città, quella che ha fatto da scenario a City of God, che racconta la vita in quel pezzo di Rio che fatica a stare al mondo e allora si crea un mondo a sé, Rafaela Silva lì dentro, in quelle case di cartapesta, ci è cresciuta fino a trovare una strada che l'ha portata all'Instituto Reacao. Lì il judo era nelle mani nobili e capaci di Flavio Canto, bronzo olimpico nel 2004. «Il judo mi ha cambiato la vita - ha aggiunto - Non avevo sogni, non avevo obiettivi. Il mio unico desiderio era di avere una bicicletta e alcuni vestiti carini, tutto qui. Ho dato sempre tutto perché volevo aiutare la mia famiglia». Adesso i momenti difficili sono alle spalle, compresi quegli insulti che tanto l'avevano ferita: «Io penso che i brasiliani dovrebbe sempre sostenere i loro atleti anche quando perdono, perché noi diamo la nostra vita per lo sport. Sapevo di non poterli deludere ancora per questo non ho mai mollato». Le lacrime quattro anni dopo sono solo di gioia. Ora tornerà nella sua favela a trovare alcuni parenti che vivono ancora lì, in quelle strade dove è cresciuta, con la speranza di essere un'ispirazione per quei bambini che attraverso lo sport vogliono realizzare i loro sogni.


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