Progetto Parma, Scala: «Saremo un modello»

«Voglio costruire qualcosa che lasci il segno... Io presidente? Mi chiamano ancora mister»
Progetto Parma, Scala: «Saremo un modello»© Getty Images
Furio Zara
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PARMA - Sarà questo sole gentile di settembre, sarà che le vecchie care facce di Scala e Minotti e Apolloni consolano al ricordo di ciò che è stato, sarà che molto dovrà ancora succedere, sarà che ogni inizio porta con sè una promessa di felicità. Il Parma che rinasce è nuovo come un mattino e il passato qui a Collecchio è il rumore del cestino - «fuorchshsh» - che si svuota sullo schermo del computer, che non c’è più traccia di tapini farlocchi che si aggrappavano al cadavere del club, succhiandone le ultime risorse come vampiri in astinenza. Il Parma Calcio 1913 sta prendendo la rincorsa dalla serie D, domenica ha vinto al «Dal Molin» di Arzignano, gol di tale Musetti su rigore. Come un cucciolo che si muove lungo sentieri già battuti, questo nuovo Parma deve ancora fissare l’orizzonte, ma intanto va e va appoggiandosi alla saggezza del suo totem. Nevio Scala presidente del Parma Calcio 1913 è uguale a Nevio Scala allenatore del Parma isola felice, quello della meglio gioventù d’Italia, generazione bella e spettinata, portatrice sana di un godimento che oggi è sotto sequestro, come le coppe vinte in giro per l’Europa. Uguale, Nevio Scala. Solo vent’anni e fischia di più. Il tempo gli è stato amico, la stretta di mano è la solita tenaglia ma i lineamenti si sono pure addolciti. Possiamo dirlo? Era più vecchio quand’era giovane. Va per i sessantotto, lo sguardo ha striature di purezza che spiazzano. Quando c’è stato bisogno di ricucire il cuore di Parma dopo gli strappi di una stagione carogna, è lui che hanno chiamato.

Scala, che effetto le fa sentirsi chiamare presidente?
«Per ora mi chiamano ancora mister, o Nevio, che va anche meglio. Non mi curo delle formalità, sono uno che bada al sodo».

Lei parla di «calcio biologico». Ci spiega di che si tratta?
«Ho un’azienda agricola a Lozzo Atestino, dove sono nato e vivo. Da qualche mese abbiamo convertito tre ettari di terreno, li vogliamo biologici. Banalmente: senza veleni. Il futuro del mondo è quello. E anche del calcio. Ecco: siamo qui per rappresentare un calcio biologico, puro, con un’anima, senza veleni appunto».

La vostra anima qual è?
«Ai miei tempi a Parma facemmo qualcosa di bello, vincente anche, ma soprattutto bello: poi il calcio è cambiato, si è deteriorato, ha perso la sua anima. Ora, partendo dal basso, da questa serie D, ci riproviamo. Ho scelto personalmente la mia squadra: Apolloni allenatore, Minotti responsabile dell’area tecnica, Pizzi a capo del settore giovanile. Se avessi potuto avrei chiamato anche altri miei ragazzi, Benarrivo, Di Chiara, Melli; ma posto per tutti non ce n’era. Su di loro ci metto la mano io».

La risposta della città - quasi 9.000 abbonamenti - è stata incredibile. Se l’aspettava?
«Sinceramente no, sapevo che la gente di Parma era rimasta schifata da quello che era successo negli ultimi mesi, pensavo non ne volesse più sapere. Ma noi dobbiamo cancellare il passato recente. Ad Arzignano domenica c’erano mille nostri tifosi. Abbiamo una responsabilità verso di loro».

Vincere.
«E’ chiaro, lo sport a quello tende: la vittoria. Vogliamo vincere, sì, ma vogliamo farlo alla nostra maniera, senza privilegi, senza sotterfugi. Vogliamo essere diversi. E diventare un modello nel calcio italiano»

Salendo di categoria sarà sempre più difficile.
«Ma è proprio quella la nostra vera sfida, arrivare in A e proporre la nostra diversità».

E quando ci sarete riusciti lei cosa farà?
«Farò come Cincinnato, mi ritirerò in campagna, perché a quel punto - trovata la stabilità nel livello che ci compete, A o B - significherà che il mio compito si è esaurito».

Quale è stato il momento in cui ha capito che il Parma stava rinascendo?
«Agli industriali di Parma, nei giorni caldi della nascita di questa avventura, quando ci trovavamo per pensare ad un progetto, dissi: se volete vincere e basta non faccio al caso vostro, se volete il calcio-business cercatene un altro, in giro ce ne sono tanti; ma se siete qui perché pensate che il nostro calcio abbia bisogno di un altro respiro, se pensate che il Parma possa indicare un orizzonte allora sono disponibile a rimettermi in gioco».

Urca, Bravehearth non avrebbe saputo far meglio.
«Ti dico questo: Parma deve diventare un modello. Siamo qui per provarci. Vogliamo costruire qualcosa che lascerà il segno nel tempo».


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