Il cuore troppo grande di mister Fish

La straordinaria storia del tennista con il cuore in gola
Il cuore troppo grande di mister Fish© REUTERS
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ROMA - Caro direttore, L'ultima volta che Mardy Fish, tennista americano di 33 anni, mise piede sui campi di Flushing Meadows (New York), era il 2012. Ne uscì in lacrime, distrutto dall'ansia e dalle paure. Non per colpa degli avversari, ma di un attacco di panico. Per l'ex numero 7 del mondo cominciavano a manifestarsi allora i sintomi di un incubo che lo avrebbe tormentato negli anni a venire: frequenti crisi in conseguenza di una operazione per un'aritmia cardiaca. Quel giorno lo aspettava Federer, ma lui non scese in campo temendo per la salute già precaria.
Oggi, tre anni dopo, Fish si è preso la sua personale rivincita sulla malattia, più mentale che fisica. Oggi il ragazzo del Minnesota, che a due anni mentre i suoi coetanei imparavano a camminare riusciva a tirare la pallina da fondo campo superando la rete, ha battuto se stesso e quel fantasma che non gli ha permesso di esprimere pienamente il suo talento. ha vinto, ha perso, ha lottato, ha emozionato il pubblico del torneo ed è diventato per i media l'uomo della settimana.
A ridosso dell'inizio degli US Open, Fish ha espresso la volontà di giocare un ultimo torneo prima di appendere la racchetta al chiodo. Troppa paura che ciò che accadde in passato possa ripresentarsi, troppo elevata la probabilità di rischiare la vita. Troppo più grande di lui il pensiero di lasciare sola la moglie che in questi anni lo ha sempre sostenuto, al punto da arrivare a chiedere alla gente di farsi da parte all'uscita di un impianto tennistico per permettere al marito, in crisi di ansia, di tornare a casa.
Nel suo incontro di primo turno Fish viene accoppiato all'italiano Marco Cecchinato. La sorte ha estratto per Mardy un avversario abbordabile, come a volerlo ricompensare, dandogli l'opportunità di vincere davanti al pubblico amico e a quel gruppetto di irriducibili fan, i "Fishheads" (le "teste di pesce" dal nome del beniamino), che lo hanno seguito ovunque nel corso degli anni. Il pubblico è convinto che Fish avrà vita facile contro uno sconosciuto italiano che disputa il suo primo match in un grande Slam. Ma il primo set è una battaglia e la vince Cecchinato (7-6).
Mardy vede ricomparire quegli spettri che lo tormentano da tre anni;  l'ansia di non riuscire a far bene nel suo "Farewell match", "la partita d'addio", la paura di tradire la fiducia e i sentimenti del pubblico dello storico "Grandstand" di New York. Uno come Mardy Fish non avrebbe in realtà nulla da dimostrare. Per lui parla la carriera, straordinaria per un comune mortale, anche se qualcuno avrebbe il coraggio di definirla normale. Ma non può essere "normale" la carriera di un tennista che in una decina di anni di attività è stato numero 7 del mondo, ha conquistato 6 tornei ATP ed ha vinto più di trecento partite, con la ciliegina sulla torta dell'argento olimpico ad Atene.
Eppure, sotto di un set, nella "tua" partita, il dubbio di non essere all'altezza può insinuarsi nella mente. Questa volta Mardy reagisce. E lo fa da combattente, quale è sempre stato sui campi da gioco che nella vita. Con il passare dei minuti le energie dell'italiano calano, lo statunitense sale di livello, nonostante ormai i colpi e i fasti del passato siano un ricordo, e conquista il secondo set (6-3). Sono pari, ma la partita è decisa. Lo sa Fish, lo sa il pubblico, lo sa inconsciamente anche Cecchinato: il terzo set è un monologo di Fish e il quarto anche, chiuso con un ace.
Braccia al cielo, gesto liberatorio di chi combatte quotidianamente la battaglia con un cuore e una psiche tutt'altro che guariti. Applausi scroscianti dalle tribune. Qualcuno non riesce a trattenere la commozione, ma non c'è spazio per le lacrime. Fish dirà alla stampa dopo la partita: "Questo è il torneo dove un giorno il mondo mi crollò addosso. Sono tornato a vivere la mia vita e riesco di nuovo a fare ciò che le persone normali fanno tutti i giorni". La favola tennistica di Mardy Fish dura poco. Al secondo turno incontra lo spagnolo Feliciano Lopez, fisicamente più pronto. Fish gioca alla pari sino alla fine, ha un match point nel quarto set, porta l'avversario al quinto, ritrova la verve dei tempi migliori, fa sognare le tribune, ma si arrende alla fatica e ai tre anni di cure.
Dopo l'ultima palla, stringe la mano al rivale e al mondo. Esce da solo dal campo, il suo US Open lo ha  vinto. Federer lo saluta così: "Nello spogliatoio, ogni volta che avevo bisogno di un sorriso e di una risata, cercavo lui". E' entrato nei cuori di tutti con la sua storia di passione, tenacia. Quella che gli spagnoli chiamano garra. Solo la settimana scorsa diceva, in un'intervista alla Associated Press: "Se qualcuno dovesse leggere la mia storia e dire "esiste una persona che ha avuto gli stessi problemi con i quali io mi sto confrontando in questo momento e li ha superati", allora mi sentirei bene. Se la mia esperienza può aiutare qualcun altro a risolvere i propri problemi, quella è la mia vittoria più grande". Così esce di scena The Fish, che nell'ultimo torneo si è accorto di poter contare sul suo cuore enorme.

Tommaso Gandola


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