Azzurro al centro del mondo

I trionfi di MV Augusta e Gilera caratterizzarono i primi 25 anni del Mondiale di motociclismo, nonostante il patto di astensione. Oggi tocca a Ducati e Aprilia
Mathias Cantarini
5 min

Ciò che nell’era moderna è rappresentato da Ducati e Aprilia, capaci di vincere tutte le gare della MotoGP 2024, non è una novità assoluta nel Mondiale. Con nomi differenti, c’è stato un passato in cui le aziende italiane hanno vinto, ma soprattutto hanno fatto scuola. Un trend del settore che racconta anche la storia dell’industria del nostro Paese.

I titoli di Gilera e MV Augusta

L’Italia del secondo dopoguerra e del boom economico monopolizzò la scena grazie a MV Agusta e Gilera, lasciando il segno nei primi 25 anni del Mondiale nato nel 1949. La prima fu in grado di conquistare 37 titoli costruttori e 38 piloti tra il 1952 e il 1973, mentre la seconda nel 1950 portò Umberto Masetti al primo Mondiale “italiano” nella top class. Con la Quattro Cilindri la Gilera vinse sei titoli grazie allo stesso Masetti, Geoff Duke e Libero Liberati. Fu quest’ultimo nel 1957 a regalare l’ultimo alloro al marchio prima del Mondiale di Marco Simoncelli nel 2008 in 250, su una moto che però era tecnicamente un’Aprilia. A interrompere l’epoca Gilera (nata ad Arcore) fu la vicina di casa MV Agusta (di Schiranna), che tra il 1958 e il 1974 fu imbattuta nella top class. I primi tre titoli furono dell’eroe dei due mondi John Surtees, unico pilota iridato sia in 500 che in Formula 1, poi vinse Gary Hocking, che tuttavia dopo il Tourist Trophy del 1962 abbandonò le corse a causa della morte nella stessa gara dell’amico Tom Phillis. Il testimone passò a Mike Hailwood, prima dell’esplosione di Giacomo Agostini che si impose dal ’66 al ’72. I due titoli successivi andarono a Phil Read, il cui arrivo alla MV convinse Ago ad accettare le lusinghe della Yamaha.

I trionfi di Ubbiali

Il dominio tecnico della MV Agusta venne suggellato nel 1960 dalla conquista dei titoli in tutte le classi allora esistenti: 125 e 250 con Carlo Ubbiali, 350 e 500 con Surtees. Proprio Ubbiali, come Agostini, legò il proprio nome a quello della MV con otto titoli tra 125 e 250, dopo il primo conquistato sulla FB Mondial nel 1951. Il bergamasco è considerato tra i maggiori specialisti delle classi leggere, così come Angel Nieto: il padre del motociclismo spagnolo vinse “12+1” titoli (scaramantico, Nieto non utilizzava mai il tredici), cinque dei quali con aziende di casa nostra, due con la Minarelli e tre con la Garelli.

Il patto di astensione del 1957

La storia delle Case italiane negli anni pionieristici passò anche per il patto di astensione del 1957, con il ritiro di Moto Guzzi, Gilera e FB Mondial (la MV invece prima aderì poi fece retromarcia) per evitare che gli investimenti nelle corse potessero mettere in crisi l’attività aziendale, di fronte alla contrazione del mercato dovuta alla motorizzazione di massa a quattro ruote. Tale decisione aprì la strada all’invasione delle Case giapponesi, fronteggiata da altre coraggiose aziende italiane. Come la Morbidelli (e la “parente” MBA), la già citata Minarelli e la Benelli, che con il titolo del 1969 di Kel Carruthers divenne l’ultima Casa a trionfare nella 250 con una quattro tempi. La Casa pesarese in quel periodo fece correre sia Renzo Pasolini che Jarno Saarinen, piloti amatissimi e legati purtroppo dalla scomparsa nella tragedia del 1973 a Monza, uno dei giorni più neri del Mondiale. Tra le Case titolate c’è anche la Bimota, che nel 1980 vinse la 350 con la YB3 di Jon Ekerold. La Casa di Rimini ebbe un ruolo cruciale anche nei successi targati Harley-Davidson, dato che gli americani - dopo la collaborazione con un’altra azienda italiana, la Aermacchi - si affidarono alla Bimota per il telaio della HDB2 con cui nel 1976 Walter Villa vinse il terzo titolo consecutivo in 250.


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