Valentino Rossi, icona planetaria
C’è stato un periodo, durato qualche anno, in cui il motociclismo ha vissuto l’illusione del confronto alla pari con le quattro ruote. Un duello in verità improponibile per audience e proporzioni economiche, come ci ricorda il presente, che però esisteva poiché la F1 aveva perso il campione più grande, Ayrton Senna, mentre nel Motomondiale emergeva la figura di spicco, capace di portare le due ruote a impensabili vette di popolarità nell’intero pianeta: Valentino Rossi è stato per anni l’italiano più conosciuto e apprezzato nel mondo, un gradimento che trascendeva i pur eccezionali risultati, perché le scenette dopo le (numerose) vittorie, la spontaneità e la freschezza – di chi non aveva timore a esprimere ciò che pensava, oltretutto con efficacissima ironia – avevano fatto breccia anche laddove il motociclismo e la lingua italiana non erano conosciuti. Più dei nove titoli e dei 115 successi, che comunque collocano il pesarese in primissimo piano nei libri di storia e statistica del motociclismo, conta il “come”. Un percorso che spiega come mai oggi – a quattro anni dal ritiro – la traccia di Rossi sia ancora ben presente nella MotoGP. Dove quasi tutti i piloti italiani sono suoi allievi nella VR46 Academy (Pecco Bagnaia, Marco Bezzecchi e Luca Marini) oppure corrono nel suo team (Fabio Di Giannantonio e Franco Morbidelli). Un lascito verso il mondo che Rossi ha amato e frequentato in modo pieno, fino quasi a esaurimento, tra vittorie e bagni di folla, ma anche infortuni, rivalità e polemiche. E giorni neri, come la tragedia di Sepang 2011, quando Valentino rimase coinvolto nell’incidente fatale all’amico Marco Simoncelli, il top rider che più di tutti, per il modo scanzonato di vivere le corse e la vita, era vicino a Rossi. Due anni dopo la Academy, decisiva per ridestare il vivaio italiano, nacque proprio in memoria dell’indimenticabile SIC. Così lunga e intensa, la carriera di Rossi nel Mondiale è stata come una vita a se stante, quindi fatta di alti e bassi, di soddisfazioni e momenti di sconforto (come i problemi con il fisco che nel 2007 lo indussero a prendere in mano la propria gestione), con una costante: Valentino l’ha vissuta fino all’ultima goccia, proprio per questo da quando ha lasciato la MotoGP per dedicarsi alle auto – togliendosi soddisfazioni come il recente successo a Indianapolis – la sua frequentazione del paddock non è stata assidua.
Valentino Rossi, una rockstar
V. Rossi è sinonimo di rockstar, perché come l’amico Vasco anche Valentino ha saputo resistere al tempo mantenendo il ruolo di trascinatore di folle anche di generazioni differenti. Lo testimonia il fatto che al momento del ritiro, a fine 2021, il fresco campione del mondo della MotoGP, Fabio Quartararo, era un ragazzo nato quando Valentino aveva già vinto diciassette gare mondiali. E il predecessore, Joan Mir, nasceva proprio nelle ore del primo titolo di Rossi, nel 1997. Sua Longevità ma soprattutto Sua Velocità, perché senza i risultati e i successi, il personaggio Valentino capace di prevalere in numerose rivalità non sarebbe mai esploso. Il ciclonico talento della 125, che metteva le ruote della sua Aprilia dove gli altri neppure se lo sognavano, si è rafforzato nel biennio istruttivo nella 250, confrontandosi anche da compagno di marca con Loris Capirossi e Tetsuya Harada. A 21 anni e con due titoli in tasca, la Honda gli affidò la squadra del pluricampione Mick Doohan, una scommessa vinta con tre Mondiali, uno con la 500 due tempi e due con la 1000 quattro tempi della MotoGP, neonata categoria che trovò in Valentino il perfetto portabandiera.
Valentino Rossi, il salto
Quando vincere con la Honda divenne troppo “facile” e non abbastanza gratificante – la Casa voleva la progenitura dei successi – Valentino optò per il salto nel buio in Yamaha, dove trasformò una realtà derelitta (zero successi nel 2003, un digiuno di titoli iniziato dopo il 1992) in una corazzata, con il Mondiale al primo tentativo, il bis nel 2005 e i successivi trionfi con le 800 di cilindrata nel 2008 e 2009. Successi conditi dalle gag post-vittoria, iniziate già in 125 con la celebre bambola gonfiabile che faceva il verso a Max Biaggi e ai suoi flirt illustri, per un dualismo nazional popolare che avrebbe preso toni più accesi nel 2001, con il dito medio di Rossi a Suzuka dopo un sorpasso e il contatto nel retropodio di Barcellona. Da giovane irriverente, Rossi divenne presto il riferimento studiato dai rivali arrembanti della generazione successiva, affrontati con il carisma rafforzato dalle vittorie e dalla popolarità. Ma anche con il talento, che consentì manovre iconiche come il sorpasso su Casey Stoner nel 2008 al Cavatappi di Laguna Seca, la curva più caratteristica del Mondiale, oppure sul compagno di squadra Jorge Lorenzo nell’ultima piega nel 2009 a Barcellona. L’infortunio del 2010 al Mugello, pista che assieme ad Assen ha maggiormente contribuito all’epopea del Dottore, costituì uno spartiacque: perso il predominio interno alla Yamaha, Rossi cavalcò l’onda del binomio italiano in Ducati nel momento sbagliato. Il ritorno alla Yamaha a 34 anni portò al sogno del decimo alloro, soltanto accarezzato e perso tra mille polemiche e non soltanto con Marc Marquez (suo erede nei risultati, ma non nel consenso del pubblico).
Valentino Rossi, oggi papà
Oggi a 46 anni, alle sue piccole Giulietta e Gabriella papà Vale può raccontare con orgoglio quell’esistenza parallela da rockstar dello sport: come nella vita di ogni uomo, anche la rockstar ha vinto (spesso, nel suo caso), ha perso, ha commesso errori. Ma, cosa più importante, ha lasciato un’eredità.
