
Alberto Tomba faceva il gradasso bene, ma così bene da trasformare le sue rodomontate in strategia. Batteva i rivali prim’ancora che cominciasse la gara. Ne trovò due una sera a cena e... «Ragassi, prendete solo i primi che i secondi ve li do io domani!» Sembravano battute ed era qualcosa di molto fattuale: servivano a sdrammatizzare, allentando la pressione su se stesso prima della gara, per darsi sicurezza ed esibirla; nel contempo incuteva timore in quelli che avrebbero dovuto affrontarlo. Metteva soggezione Alberto, anche solo con uno sguardo. «Non facevo il clown, mi caricavo e li mettevo in difficoltà prima che andassimo al cancelletto», ebbe a dire.
Tomba, i magici anni pari
Curiosamente, questa sua sicurezza andava a corrente alternata, di stagione in stagione. Si rafforzava in occasione dei Giochi Olimpici, gli anni pari in cui risultava ispirato, contrariamente agli anni dispari, che ospitavano i Mondiali, mai in grado di gratificarlo. Era anche una questione di imprinting: i suoi primi Giochi Olimpici, Calgary 1988, erano stati un trionfo. Oro in gigante e slalom così, come fosse una cosa facile. Aveva ventun anni. In gigante un successo liscio, frutto di una sicurezza e una potenza impressionanti, in slalom una rimonta dal terzo al primo posto con una seconda manche perfetta. Proprio questa seconda manche determinò l’interruzione del Festival di Sanremo, vero rito pagano. Due sere prima Miguel Bosé si era limitato a dare notizia dell’oro olimpico di Tomba nel gigante e il pubblico dell’Ariston non l’aveva presa bene, per niente. Sabato 27 febbraio, a grande richiesta, il Festival s’era sintonizzato sul minuto decisivo dello slalom speciale e la popolarità di Tomba era esplosa con fragore, definitivamente. Albertville nel 1992 gli sorrise quasi altrettanto, con l’oro del gigante e argento agguantato con rabbia in slalom. Tomba portò per sempre con sé quell’ispirazione a cinque cerchi.
Tomba, il sortilegio dei dispari
L’attitudine era opposta in occasione dei Mondiali. Non gli piaceva l’atmosfera, non gli andavano mai a genio le piste, non lo ispiravano gli anni dispari e questa cosa non era marginale: Tomba giocava con i numeri, creando cabale tutte sue in grado di caricarlo ulteriormente. Non andò male a Crans Montana 1987 con un bronzo anche fortunoso in gigante, ma fu un’eccezione. Nessuna luce invece a Vail 1989 (sesto in superG e settimo in gigante), tra polemiche che intossicarono l’intera squadra: Alberto ne risentì più di altri e fu grande la sua delusione, visto che s’era messo in testa di dare all’Italia medaglie anche più brillanti di quelle di Calgary. Stortissimi i Mondiali di Saalbach del 1991 (beffardo il quarto posto dello slalom e anche di più l’uscita nella seconda manche del gigante, con frattura di due costole) e quelli di Morioka nel 1993. In Giappone, dove gli acquazzoni si alternavano alle gelate nel giro di poche ore, non gli piaceva il posto, non gli piaceva il clima, non gli piaceva il calendario. Non gli piaceva nulla. Prese l’influenza: guardò il gigante dal letto, lasciò la sua stanza per lo slalom ma inforcò presto.
Tomba, magia davanti all'Africa
Tutta questa sequela per dire che il suo Mondiale d’oro arrivò curiosamente in un anno pari, grazie al rinvio delle gare iridate di Sierra Nevada, in Spagna con l’Africa visibile in lontananza. Nel 1995 tutto era saltato per mancanza di neve, così nel 1996 Tomba si sentiva a suo agio per la cabala e il posto: gente aperta, esuberante, bisbocce a notte fonda come piaceva a lui. Fu oro in gigante e in slalom. Fu medaglia l’anno dopo nei Mondiali di Sestriere, eccezionalmente ma anche secondo una logica: quello era stato il suo buen retiro nel 1992, tra una gara olimpica e l’altra ad Albertville. Quei due ori olimpici erano stati costruiti in allenamento al Sestriere; Tomba uscì in gigante e prese il bronzo in slalom. Chiuse la sua storia nei Mondiali con un bilancio in rosso.
L'imprendibile coppia
Pareva scritto che non avrebbe mai vinto la Coppa del Mondo generale, senza la velocità del superG e contando solo su gigante e slalom. Nell’unico inverno buono, quello del 1991-1992, era sbocciato il muratore svizzero Pauli Accola, ma per durare quanto un bucaneve. E invece: il 1995. Vent’anni dopo Gustavo Thoeni, Tomba riportò in Italia la grande boccia di cristallo pur correndo le sole gare tecniche: sette vittorie consecutive in slalom furono decisive per chiudere nettamente davanti all’austriaco Günther Mader. In questa alternanza di emozioni e fino al 1998, l’anno del suo ritiro forse prematuro dalle gare, il Corriere dello Sport c’era, deliziando in modo speciale i lettori bolognesi della testata verde Stadio.