A Roma l’Endas Kombat Day, il più grande evento dedicato agli sport da combattimento

Serapiglia (presidente Endas): “Centinaia di maestri ed atleti per fare il punto sulle arti marziali in Italia”
A Roma l’Endas Kombat Day, il più grande evento dedicato agli sport da combattimento
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Si sta tenendo in questo fine settimana a Roma il raduno nazionale dell’Endas Kombat, il più grande evento tecnico italiano dell’anno dedicato alle arti marziali e agli sport da combattimento. Sono ben 150 i maestri e gli istruttori e oltre 400 i praticanti convenuti all’EUR presso il Palazzetto della Federazione Italiana Bocce. Alle dimostrazioni aperte al pubblico, si stanno alternando i corsi di aggiornamento, ma l’occasione serve anche a fare il punto, alla presenza del presidente nazionale dell’ENDAS Paolo Serapiglia, per l’attività che verrà dispiegata durante il 2023.
Presidente Serapiglia, cosa rappresenta l’ENDAS KOMBAT DAY per il movimento degli sport da combattimento?
E’ un momento cruciale: dopo i due anni di covid è la prima volta che ci si rivede tutti insieme, è necessario mettersi in gioco.
Le arti marziali sono strategiche per l’attività dell’ente di promozione sportiva che lei presiede…
Noi abbiamo due fiori all’occhiello: l’ENDAS Kombat (che è un nostro marchio registrato con la K e aggrega tutte le associazioni sportive che si occupano di arti marziali aderenti al nostro ente) e il dipartimento sicurezza che racchiude all’interno varie discipline.
Quanti sono gli affiliati all’ENDAS Kombat?
 Sono oltre 1500, un numero notevole che ci rende l’ente italiano più autorevole in questo settore sportivo.
Quindi all’ENDAS KOMBAT DAY partecipano nomi importanti…
Assolutamente. Solo per fare qualche esempio tra i tanti, segnalo Mauro Cerilli, che è campione del mondo di MMA (Mixed Martial Arts, ovvero arti marziali miste), o Adriano Sperandio, campione italiano di pugilato nella categoria mediomassimi, che è un formatore ENDAS, o ancora Giorgio Perrega, che oggi ha 60 anni ed è un’autentica autorità nel mondo della kick boxing.
Questi due anni di pandemia sono stati un periodo difficile per il movimento sportivo, qual è lo stato di salute dell’ENDAS?
Si, è stato un periodo molto complicato per tutti, ma l’ENDAS ha saputo affrontarlo bene: nel 2021 siamo stati l’ente di promozione sportiva che è cresciuto di più in termini percentuali e oggi contiamo ben 5.000 associazioni affiliate.
Perché siete riusciti ad affrontarlo meglio di altri?
Innanzitutto noi ci sforziamo di avere un contatto diretto e quotidiano con le nostre associazioni affiliate, che quindi si sentono accompagnate nel loro percorso. Inoltre, abbiamo saputo attrezzarci per tempo sotto il profilo tecnologico.
In che senso?
La pandemia ha fatto emergere la necessità di lavorare da remoto, ma noi già da tempo ci eravamo dotati degli strumenti tecnologici per farlo, mantenendo inalterata la qualità del lavoro come fossimo in presenza. Il nostro personale era già pronto alla sfida quando è arrivato il covid. Avevamo fatto questa scelta per migliorare i nostri servizi agli affiliati e quando è scoppiata la pandemia avevamo già una piattaforma collaudata con la quale governare il flusso economico, le iscrizioni a gare ed eventi, i corsi di formazione. Ma non ci basta, vogliamo potenziarla ulteriormente.
Spesso gli enti di promozione sportiva vengono accusati di godere di benefici ingiustificati e di perpetrare abusi. Lei cosa ne pensa?
E’ un’accusa che spesso viene lanciata non solo contro gli enti di promozione sportiva, ma in generale contro il terzo settore e riguarda soprattutto i benefici fiscali. Francamente la trovo ingiustificata: qualcuno senz’altro non è allineato alla normativa, ma è sbagliato generalizzare.
Ne è sicuro?
Sì. Parliamo di un movimento, quello sportivo, che coinvolge 12 milioni di praticanti, per cui è inevitabile che ci sia qualche mela marcia, ma non dobbiamo dimenticare che il movimento sportivo italiano si regge sull’associazionismo e non sullo Stato, come avviene in altri paesi, ed è ad esso che dobbiamo i grandi risultati a livello mondiale che il nostro paese riesce a conseguire anche negli sport cosiddetti minori.
Una riforma dello sport in Italia, però, è necessaria…
E’ vero, ma non bisogna passare da un eccesso rappresentato dalla mancanza di regolamentazione a quello contrario che, aumentando a dismisura burocrazia e amministrazione, finirebbe per sovraccaricare il volontariato. Fortunatamente sembra che di questo il nuovo governo sia consapevole.
Secondo lei di quali riforme necessita lo sport italiano?
Vanno aiutate le piccole realtà che, pur dotate di pochi fondi, con passione ed entusiasmo riescono a sfornare grandi atleti. Non ha senso oberare le associazioni dilettantistiche con norme e requisiti che possono essere soddisfatti solo da organizzazioni gigantesche, perché rappresenterebbe la fine degli sport minori. Sotto questo aspetto sarebbe importante prestare attenzione alla definizione dello “status” di atleta. Oggi, infatti, non ci sono differenze tra un atleta olimpionico e un incaricato di pubblico servizio, ma mi domando per quale ragione si debba essere obbligati ad indossare una divisa per praticare sport minori ad alto livello ed essere, al tempo stesso, in grado di mettere il piatto a tavola.
Però tasse e contributi li devono pagare anche le associazioni sportive…
Certo, ma se si rispettano i requisiti previsti non le si deve caricare con contratti concepiti per aziende private a fini di lucro. Lo sport in Italia continua a svolgere un’insostituibile funzione sociale, soprattutto a favore del comparto sanitario e dei nostri giovani. Il settore va quindi migliorato, ma in continuità con la nostra migliore tradizione.
 


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