Giletti: «Calcio e ricerca iniziativa vincente»

Massimo Giletti, il conduttore de “L’Arena”e sostenitore di Komen plaude al progetto di comunicazione dell’Università Niccolò Cusano: «Calcio e ricerca iniziativa vincente»
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«Chi è conosciuto e ha un forte impatto mediatico, come un calciatore o un’attrice, ha il dovere morale di spingere e sostenere battaglie come quella che da anni porta avanti la Komen». Massimo Giletti è molto chiaro, almeno come la sua partecipazione nella sensibilizzazione nei confronti un tema delicato come quello della lotta al tumore del seno. La sua fama di personaggio televisivo, tutti i giorni nelle case di milioni di spettatori, deve essere messa al servizio di campagne che favoriscano la scienza e il sociale. Esattamente in linea con il percorso intrapreso dall’Università Niccolò Cusano con la sua squadra, L’unicusano-Fondi Calcio, per unire sport e ricerca scientifica, un progetto che lo stesso Giletti, da gran tifoso, ha apprezzato per le capacità di far veicolare al mondo del pallone messaggi con nobili finalità. Come sostenitore della Komen, il volto di Domenica In ha raccontato il suo impegno a Radio Cusano Campus, emittente della Cusano (FM 89.1 a Roma e nel Lazio, e in streaming su www.radiocusanocampus.it), nell’ambito del progetto di sport e ricerca sulle pagine del Corriere dello Sport-Stadio.

 

Quello al seno è il cancro più diffuso tra le donne. Le campagne di prevenzione giocano un ruolo fondamentale: pensi che nel nostro Paese si stia facendo abbastanza?

«Quando parlo di cancro al seno parlo di una malattia che conosco bene e che ha toccato da vicino la mia famiglia. La moglie di mio fratello, infatti, ci ha lasciati a causa di un tumore. Tutto è partito da un problema al seno. Era molto giovane e ha sofferto tanto. A volte la prevenzione non basta: non tutti i casi purtroppo sono risolvibili. Il cancro al seno è una malattia tosta. Oggi a chi pensa “sono cose che possono capitare agli altri ma non a me” dico di aprire gli occhi: è importante sapere, conoscere, informarsi. E’ vero, come ci dicono i dati, che oggi il tumore al seno fa meno paura e che negli ultimi vent’anni la mortalità è diminuita ma non bisogna mai dimenticare che dietro i numeri ci sono storie di speranza e sofferenza. Credo che se le morti per cancro sono in netto calo il merito è da ricondurre anche alle campagne di prevenzione. In Italia tanto è stato fatto ma molto resta ancora da fare per aumentare le possibilità di guarigione e per migliorare la qualità della vita delle tante donne che affrontano il tumore del seno. Sono dell’idea che si possa fare di più: si deve parlare della lotta ai tumori del seno anche in tv o realizzare campagne mediatiche precise. Bisogna parlarne e se è necessario suscitare anche qualche polemica. Io sono per le campagne choc: quelle che lanciano messaggi forti, che fanno discutere. E’ fondamentale poi, indirizzare i giusti messaggi anche alle giovanissime. L’errore è pensare che la gioventù non sia attaccabile dal cancro. In realtà purtroppo, il cancro non guarda in faccia a nessuno. Il cancro non chiede la carta d’identità».

Sono numerose le personalità del mondo delle istituzioni, dello spettacolo, della cultura e dell’imprenditoria che fin dal 2000 hanno creduto nel modello Komen, affiancando l’Associazione nell’azione di contrasto ai tumori del seno. Anche tu hai deciso di fare tua questa lotta.

«Sì, l’ho fatto con convinzione perché credo sia di fondamentale importanza diffondere la cultura della prevenzione. Quando la diagnosi è precoce c’è la possibilità di tornare a stare bene. Per questo non mi tiro indietro quando c’è da sostenere iniziative legate alla ricerca o alla promozione della prevenzione. Un volto noto, poi, spesso viene ascoltato di più che un grande medico o un esperto. Chi è conosciuto e ha un forte impatto mediatico, come un calciatore o un’attrice, ha il dovere morale di spingere e sostenere battaglie come quella che da anni porta avanti la Komen. Semplicemente, quando posso mi do da fare per aiutare gli altri. Tuttavia, ovunque e chiunque parli di prevenzione aiuta qualcuno a fare un passo avanti culturalmente. La prevenzione, infatti, è un fattore culturale: andarsi a fare gli esami ogni sei mesi o ogni anno è una routine culturale che noi non abbiamo ancora, che troppo spesso non ci appartiene. Forse pensiamo di essere indistruttibili e invincibili. Ma non è così».

L’Università Niccolò Cusano ha deciso di utilizzare il calcio per promuovere l’importanza della ricerca scientifica. Cosa pensi di questo progetto?

«Credo che il calcio possa essere anche un modo per veicolare messaggi importanti, magari su tematiche spesso trascurate. Ben venga se attraverso questo progetto si promuove la ricerca scientifica. Ben venga se i lettori hanno la possibilità di conoscere realtà, associazioni, ricercatori e aziende che la portano avanti. Più si parla di ricerca e prevenzione e più si fanno passi avanti importanti culturalmente. Tutto ciò che fa entrare nelle nostre case il concetto di prevenzione e ricerca va apprezzato. E’ una bella iniziativa che va sostenuta e resa nota. E’ bello, poi, quando il calcio riesce a lanciare un messaggio che va al di là di quello sportivo. Entrare in campo con questa finalità ti dà maggiore forza. I progressi in campo medico hanno dato risposte a milioni di malati e la ricerca è la strada giusta da percorrere».


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