Massimo Mauro, la Sla e il mondo del calcio

L’ex calciatore oggi commentatore di Sky a sostegno dell’iniziativa dell’Università Niccolò Cusano: ”L’impegno delle Università nel campo della ricerca è fondamentale, sono fonte di idee vincenti”
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«Il mondo del calcio si dimostrerebbe illuminato se sostenesse la ricerca scientifica, se contribuisse a fugare ogni dubbio sulll’assenza di un legame tra calcio e Sla, per dire finalmente a tutti i genitori d’Italia che giocare a pallone non comporta questo rischio tremendo per i loro figli. E invece, tranne qualche eccezione, le società e i calciatori contribuiscono pochissimo alla nostra battaglia». Massimo Mauro, ex giocatore di Juventus e Napoli, oggi commentatore Sky, è da anni in prima linea per progetti sociali e di supporto alla ricerca scientifica. Dal dicembre 2012, è presidente dell’Aisla, l’Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica. Nell’ambito dell’iniziativa sulla ricerca scientifica promossa da Università Niccolò Cusano, Radio Cusano Campus (89.100 Fm a Roma e nel Lazio, in streaming su www.radiocusanocampus.it) e Corriere dello Sport-Stadio, Mauro rinnova il suo appello: «Le società di Serie A e i calciatori devono fare di più».  

Mauro, che cos’è l’Aisla?

«Aisla è un’associazione che esiste da 32 anni, impegnata nell’assistenza ai malati di Sla e nel finanziamento alla ricerca: insieme alla Fondazione Vialli & Mauro, alla Fondazione Cariplo e alla Fondazione Telethon ha dato vita all’agenzia di ricerca Arisla, che ogni anno riceve, in media, da questi soggetti un milione di euro per promuovere bandi di ricerca sulla Sla. Aisla conta 58 sezioni in Italia e su 200 volontari che galoppano ogni giorno tra Asl, Regione e le case degli ammalati. Abbiamo contribuito a fondare tre centri clinici Nemo: ad Arenzano, in Liguria, a Milano, con venti posti letto all’interno dell’Ospedale Niguarda, e il Nemo Sud al Policlinico di Messina. Superate le ultime formalità, dovremmo aprire un centro anche all’interno del Policlinico Gemelli di Roma».

Come avviene la scelta delle ricerche da finanziare?

«L’agenzia è dotata di tutte le strutture necessarie per individuare percorsi di valutazione oggettivi e trasparenti. Ha un comitato scientifico che valuta progetti presentati in forma anonima. Siamo certi della bontà e della correttezza di quello che facciamo: purtroppo, ancora non si è trovato il colpo di genio per battere la Sla. Mi piacerebbe dire, da qui a dieci anni, che abbiamo trovato una soluzione».

Di che cosa è fatta la quotidianità dell’Aisla? Quali situazioni vi trovate a sostenere?

«Aiutiamo i malati e le loro famiglie a risolvere problemi, tamponiamo le lacune delle istituzioni e l’incuria di qualche operatore sia per quanto riguarda gli ausili sia la burocrazia. Abbiamo tavoli aperti in tutte le Regioni: purtroppo, per la politica, i malati di Sla sono troppo “pochi” per meritare attenzione». 

Prima che diversi calciatori, come Stefano Borgonovo, accendessero i riflettori sulla malattia, la Sla era nota a pochi.

«Andai io, insieme all’ex presidente di Aisla Mario Melazzini, a convincere Stefano a raccontare la sua storia. Prima di lui erano usciti allo scoperto Gianluca Signorini e Adriano Lombardi. Ci sono altri nomi del calcio minore che hanno contribuito a porre l’attenzione generale su questa malattia e a far sì che i pazienti non fossero abbandonati».

Si parla tanto del legame tra calcio e Sla. Qual è la sua idea in merito e come pensa che il mondo del calcio debba contribuire alla ricerca?

«Attualmente, il mondo del calcio contribuisce pochissimo. Nell’ultima raccolta fondi una delle poche iniziative pubbliche è stata quella del presidente della Sampdoria Ferrero, che ha donato oltre 20mila euro alla ricerca. Sia le società di Serie A e B, sia l’Associazione calciatori dovrebbero fare molto di più, anche solo in virtù del fatto che dei nostri colleghi sono morti di Sla. Non chiediamo tanto: 10mila euro di contributo annuo sono niente nel bilancio di una società di calcio. Nessun ricercatore ha dimostrato che il calcio fa ammalare di Sla, ma per fugare il minimo dubbio, rispetto a questa domanda “maledetta” che tutti si pongono, il calcio dovrebbe essere in prima linea. Tutto il movimento ne trarrebbe vantaggio». 

Qualcosa è stato fatto.

«Per un anno la Lega ha donato 100 mila euro, poi basta. Mi è capitato di essere ricevuto nello spogliatoio di una squadra di Serie A per proporre ai giocatori un orologio ideato insieme a Gianluca Vialli per sostenere la ricerca. Nessuno lo ha comprato. Per sciatteria, non certo per mancanza di mezzi. Ma ci tengo a citare anche chi ci ha sostenuto, come Buffon, Di Natale, Del Piero, Maxi Lopez, Mihajlovic, Gastaldello».

Un forte impulso alla conoscenza della Sla lo ha dato l’Ice bucket Challenge. Che cosa resta di quella campagna?

«L’Aisla ha raccolto 2,4 milioni per la ricerca, con una crescita del 140%. Ed è rimasto tantissimo anche in termini di contatti. Abbiamo avuto 55mila donatori. Spero che la prossima estate si possa riproporre un’iniziativa così».

Attraverso il binomio con lo sport, l’Università Niccolò Cusano promuove la ricerca scientifica. Cosa pensa di questa iniziativa?

«L’impegno delle università è basilare. Spesso sono gli studenti ad avere idee vincenti per la ricerca, l’intuizione che può cambiare prospettive. A volte finanziamo anche progetti da 30-40mila euro proprio con la speranza che dietro ci sia il colpo di genio».


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