Due tigri in cattività

A. e S. sono due sorelle arabe, di 8 e 7 anni, che da quest'anno partecipano al corso Laureus di minibasket. Un'esperienza che le sta aiutando a crescere
Due tigri in cattività
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«Ricordati che dovrai essere una brava moglie. E una brava moglie sa cucinare, sa occuparsi della casa e della famiglia, non si lamenta mai ed è umile». Non importa quanti centimetri sei alta o quale classe frequenti, la cultura araba non sa che farsene delle bambine che si comportano come tali. Le bambine devono diventare subito donne, non sono ammesse domande né contrattempi. A. ha 8 anni, e sua sorella S. ne ha 7. Due piccole donnine di origine egiziana, diligenti, dolci ed educate tra i banchi di scuola, con occhioni scuri che diventano tristi quando suona la campanella. Da quest’anno partecipano al corso Laureus di minibasket. Difficile convincerle che la palla da basket, per quanto pesante, possa essere usata per divertirsi. Non è la gioia di centrare un canestro il movente che le ha spinte in campo, ma piuttosto il bisogno di allontanarsi dalle mura di casa.

L’anno scorso la mamma di S. e A. ha preso le sue bambine ed è scappata da un marito con mani troppo pesanti per una moglie e troppo curiose per delle figlie. Ma una brava moglie non può scappare e oggi la famiglia si trova riunita sotto lo stesso tetto. S. e A. ne portano i segni del loro vissuto sulla pelle e nel cuore. Da brave bambine ogni giorno sorridono a maestre e compagni. Tutti i venerdì cercano le mura di quella palestra, piccola e sgarrupata, dove possono correre per sentirsi finalmente libere. Allo stesso tempo solo lì possono urlare e sfogare la propria paura e possono giocare per riprendersi un tempo che non tornerà più. All’inizio A. si autoescludeva dal gioco e cominciava a gattonare a bordo campo imitando una tigre. Appena la sorella la vedeva cominciava a gattonare in modo simile. In quei pochi minuti le due bambine si sentivano di nuovo piccolissime, invisibili in una vita di essere umani che a volte non è così umana. La loro mamma è giovane, sofferente e disattenta. Sfoga la sua rabbia di moglie sulle sue figlie innocenti, che non hanno né la forza né il coraggio di ribellarsi. Il loro corpo parla e chiede aiuto. Un aiuto che non possono comunicare se non attraverso uno sguardo, un abbraccio che non conosce fine o un ruggito. In questi mesi il loro ruggito si è trasformato in risata, in voglia di partecipare a un gioco che mette maschi e femmine sullo stesso piano. Un gioco che premia chi rispetta le regole, in cui la violenza non è taciuta, ma messa in panchina. Oggi S. e A. non perdono più un allenamento. Grazie alla loro perseveranza si stanno allontanando, passo dopo passo, dalla gabbia. 


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