
Pancalli, perché candidarsi al Coni?
«Una nuova sfida, che non accetterei se non fossi un uomo di sport. Sono ancora giovane e penso di poter dare qualcosa. L’ho fatto da atleta e lo rifaccio adesso: mi preparo per tentare di vincere, poi viviamo in un paese democratico. Ma alla fine mi sto divertendo».
Lasciare il comitato paralimpico è stata la scelta giusta?
«Lo rifarei. Mi ero posto degli obiettivi che avevo raggiunto: era giusto passare la mano. Le istituzioni si servono e si rispettano, non ci appartengono. E questo vale anche per il Cip che viene definita come una “mia” creatura».
Vuole unire Coni e Cip?
«Non è nel mio programma e se qualcuno arriva a dire questo per sminuirmi vuol dire che non ha altri argomenti. Credo che oggi il Coni, realtà che conosco a fondo avendoci lavorato per molti anni, abbia di fronte a sé delle sfide che non fanno prevedere alcun tipo di fusione».
Pancalli candidato della politica.
«Si sentono narrazioni epiche… chi lo sostiene semplicemente dimostra di non conoscermi. Altra cosa è avere l’apprezzamento della politica, ma della politica tutta. E non sta a me dirlo. Detto questo, la politica non è necessariamente qualcosa da cui stare alla larga, fermo restando che il Coni deve mantenere la propria indipendenza, la propria autonomia. Il “fare politico” è un’altra cosa e non lo vivo come un insulto. Nostri grandi predecessori hanno ottenuto straordinari risultati, a partire da Carraro, ma anche altri. Sono particolarmente legato a Gianni Petrucci che mi ha dato la possibilità di vivere esperienze importanti nel mondo del Coni. Non posso non dire che io abbia rubato con gli occhi il suo “fare politico” che è cosa diversa dall’essere il candidato della politica».
Chi è Pancalli?
«Nella società civile si parla con espressione inelegante di uomo da marciapiede. Io sono l’uomo delle piscine, delle palestre. Una semplice persona che ha dedicato allo sport gran parte della propria vita rimettendoci anche qualcosina e che poi ha capito quanto possa essere importante nella vita di un ragazzo. Voglio restituire a questo mondo parte di quello che ho avuto. La gestione del potere non mi appartiene. E non facciamo i cardiochirurghi. Bisogna avere la capacità di essere molto riflessivi sul proprio ruolo nel mondo».
Perché dovrebbero votarla?
«Ai membri di questo conclave sportivo mi sono presentato per quello che sono, parlando di normalizzazione dello sport. Il Coni ha sempre avuto e deve sempre avere una centralità nelle politiche sportive del Paese, però bisogna affrontare tutto questo con grande serenità e trasparenza. Mi piace sentirmi parte di una grande squadra che condivide le cose, con la quale confrontarsi, ricevendo anche dei no. Da lì si migliora e si costruisce per tutti».
I rapporti con Buonfiglio, l’altro candidato forte di queste elezioni?
«Con Luciano c’è un rapporto di reciproca stima, ci stiamo confrontando. Poi come tutte le cose di sport ci sarà un vincitore e un non vincitore, non voglio neanche dire perdente. Si va avanti lo stesso».
Teme la disoccupazione?
«È vero che non sono in età pensionabile ma ho la mia professione, so che si potrebbe chiudere un capitolo importante della mia vita che mi accompagna praticamente da sempre. Ma mi sento bene con me stesso. E per la mentalità da atleta che mi contraddistingue, la sconfitta è un’opzione che in questo momento non prendo in considerazione».
Le federazioni devono avere un peso diverso?
«Lo sport non ha bisogno di fratture. Ci sono federazioni che hanno una diffusione maggiore, una popolarità maggiore. Ma oggi noi dobbiamo costruire con tutti, nessuna componente si deve sentire esclusa, a partire dal territorio».
Cosa serve al nuovo Coni?
«La politica, anche sportiva, non è navigare guardando a ciò che stai lasciando. La politica è prendere atto di dove sei e decidere dove andare. La discontinuità la puoi trovare negli strumenti: quando parlo di apertura al dialogo con la politica, con i nuovi attori in campo dal 2018 in poi, sto sottolineando un nuovo metodo di lavoro. Ma il dialogo non è un obiettivo, il dialogo è lo strumento».
Tradotto?
«Il Paese è cambiato intorno a noi. Abbiamo interlocutori diversi: ognuno con le proprie responsabilità, competenze, nel proprio sentiero istituzionale, deve poter rendere al massimo. Credo, soprattutto con riferimento a Sport e Salute, che insieme possiamo creare ponti e non ostacoli. Con il Coni al centro del sistema per cercare di far del bene a tutto il mondo sportivo».
Uno sguardo al passato però va dato: le medaglie olimpiche sono sotto gli occhi di tutti.
«Nessuno può discutere che la preparazione olimpica abbia funzionato alla grande. Il Coni è la macchina ma i successi sono di atleti, federazioni, famiglie, società, gruppi sportivi».
Oltre le medaglie?
«Il territorio, che deve essere sempre al centro. Voglio specificarlo, perché c’è qualcuno che va a dire in giro che voglio “chiudere” il territorio. Che invece deve essere al centro dello sviluppo. Gli stessi Coni regionali devono vedersi rafforzare il protagonismo in termini di rappresentanza politica».
Lo sport e la politica sono così distanti?
«Si è alimentato un clima di negatività che sembra andare avanti per inerzia quando magari il motivo del contrasto non c’è più. C’è stata sicuramente una causa scatenante nel 2018 ma tutto quello oggi è superato. Bisogna incontrarsi, conoscersi e lavorare meglio insieme».
Un sogno?
«Può essere, ma che devo dire… Il nostro è un piccolo conclave dello sport. Non si deve scegliere il migliore o magari chi esercita di più il potere. Bisogna trovare il miglior papa adeguato al contesto».
Servono cardinali maturi.
«Possiamo arrivarci, anche lavorando con un po’ più di leggerezza. E sgombrando il campo dal timore di esprimere le proprie idee. A me spaventa “l’unanimismo”. Il Consiglio Nazionale deve tornare a essere il parlamentino dello sport italiano, dove si affrontano le questioni di carattere politico, ci si confronta, ci si esprime in libertà. Poi sta al presidente, ai membri di giunta, la responsabilità di fare la sintesi. Ma non penso di essere uno scienziato… mi sembra così elementare».