La Porcellato non esclude il ritorno© ANSA

La Porcellato non esclude il ritorno

Dopo aver annunciato il ritiro a Parigi, la leggenda dello sport olimpico ha vinto due titoli italiani in handbike. “Los Angeles? Senza bici non so stare, ma avrò 58 anni. Grazie a chi mi sostiene come Tommaso Ghirardi”

La Rossa non ha smesso di volare, solo vola a quote più normali. Per chi avesse smesso di seguirla (pochi), Francesca Porcellato, alias la Rossa volante, leggenda dello sport paralimpico, nell’anno di vacanza che aveva annunciato si sarebbe presa, e che a questo punto farebbe meglio a definire sabbatico, ha vinto un paio di titoli italiani, ovviamente in handbike.

Non sa stare senza.

Il 5 settembre di un anno fa, a Parigi, nel giorno del mio compleanno – ha raccontato al Foglio la vincitrice di quindici medaglie in dodici edizioni dei Giochi distribuite tra atletica, sci e ciclismo – annunciai che non avrei più vestito la maglia azzurra. Non per la delusione del quarto posto, anzi. Anche se ancora oggi ritengo di essere stata scippata di quella e tante altre medaglie da un regolamento assurdo, che accorpa diversi livelli di disabilità. La gara, tutta in rimonta, in fondo aveva riassunto la mia vita: una corsa innanzitutto dalle avversità. Mi sembrava il momento giusto, a 54 anni, di dedicarmi ad altro. E l’ho fatto, ma senza staccare completamente, ho solo abbassato il livello e il numero degli allenamenti, perché ho capito che non so stare senza la bicicletta”.

Riflessioni

Los Angeles arriva tra tre anni, la Rossa riflette e non esclude il (clamoroso) ritorno anche ad altissimi livelli.

C’è tempo, ma anche di invecchiare ulteriormente, nel 2028 ne avrò 58, rischio di gareggiare con avversarie che potrebbero essere mie nipoti, non figlie”.

Esagerata.

Sono sincera, se non avessi questa carta d’identità, pesante per la disciplina che faccio, continuerei a fare l’alto livello”.

A Los Angeles, farebbe tredici, ma ci pensa?

Chi lo sa, vediamo. Io continuerò a gareggiare. Ma è innanzitutto una questione di testa, e la testa, prima che il fisico, mi dice che c’è anche altro da fare nella vita”.

Quello che fa attualmente, membro del Cda della Fondazione Milano-Cortina e testimonial dei Giochi in arrivo, la inorgoglisce, certo, ma l’appagamento di uno sportivo è altra cosa.

Proseguo con la sincerità: provo un po’ di invidia per questi atleti che avranno la straordinaria possibilità di disputare una Paralimpiade a casa propria, con tutta la Nazione che tiferà per loro. Nel 2006, mi diedi allo sci proprio per disputare un’edizione dei Giochi in casa e nonostante il risultato, la ricordo ancora come un’esperienza unica”.


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Come si cambia

Dodici partecipazioni paralimpiche, da Seul 1988 (atletica) a Parigi 2024 (ciclismo), in mezzo la parentesi invernale. Un’impresa mai vista.

Ho pensato a un’edizione alla volta. Feci la prima, senza sapere se sarei arrivata alla seconda. Passai a quella invernale e dopo Sochi, pensai: basta. Poi arrivò il ciclismo. Dopo Rio, credetti di nuovo di smettere. Ma Tokyo, in quel periodo così difficile, e dopo cinque anni, fu una grande sfida. Doveva essere l’ultima, ma sei mesi dopo ripresi ad allenarmi e Parigi era già dietro l’angolo. Come è cambiato il mondo paralimpico in questi trentasette anni? Più che cambiato, è stato rivoluzionato. Ricordo quando ci ritrovammo all’aeroporto, con le nostre carrozzine, in partenza per Seul: ci chiesero che santuario ci fosse. Adesso siamo personaggi noti, ci riconoscono e, soprattutto, ci considerano alla stregua degli atleti olimpici. Abbiamo fatto tanta cultura, abbiamo tirato fuori le persone di casa e abbiamo attirato interesse, sponsor, corpi militari. Con i nostri risultati, abbiamo stimolato le aziende a investire nello sviluppo degli attrezzi, e questo ha finito per cambiare anche la vita delle persone comuni. Una cosa non mi piace: eravamo più accessibili, ora siamo un po’ troppo star. Ricordiamoci che la nostra missione è sempre portare la propria disabilità nel mondo ed essere da faro per chi si è appena ritrovato disabile”.

Sostegno prezioso

In questo lungo viaggio, tanti compagni, uno da menzionare. “L’imprenditore Tommaso Ghirardi, che mi ha sostenuto, economicamente e umanamente. E’ stato ed è il mio sponsor, di squadra (l’Active Team La Leonessa, di cui la Porcellato ha fatto parte fino a un paio d’anni fa) e personale. Nonostante arrivasse dal calcio, ha compreso subito il valore e il significato del mio impegno nello sport paralimpico, e oggi ne è un grande sostenitore”.

Ultima: c’è un’altra Porcellato?

No, mi dispiace”. Anche a noi.


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La Rossa non ha smesso di volare, solo vola a quote più normali. Per chi avesse smesso di seguirla (pochi), Francesca Porcellato, alias la Rossa volante, leggenda dello sport paralimpico, nell’anno di vacanza che aveva annunciato si sarebbe presa, e che a questo punto farebbe meglio a definire sabbatico, ha vinto un paio di titoli italiani, ovviamente in handbike.

Non sa stare senza.

Il 5 settembre di un anno fa, a Parigi, nel giorno del mio compleanno – ha raccontato al Foglio la vincitrice di quindici medaglie in dodici edizioni dei Giochi distribuite tra atletica, sci e ciclismo – annunciai che non avrei più vestito la maglia azzurra. Non per la delusione del quarto posto, anzi. Anche se ancora oggi ritengo di essere stata scippata di quella e tante altre medaglie da un regolamento assurdo, che accorpa diversi livelli di disabilità. La gara, tutta in rimonta, in fondo aveva riassunto la mia vita: una corsa innanzitutto dalle avversità. Mi sembrava il momento giusto, a 54 anni, di dedicarmi ad altro. E l’ho fatto, ma senza staccare completamente, ho solo abbassato il livello e il numero degli allenamenti, perché ho capito che non so stare senza la bicicletta”.

Riflessioni

Los Angeles arriva tra tre anni, la Rossa riflette e non esclude il (clamoroso) ritorno anche ad altissimi livelli.

C’è tempo, ma anche di invecchiare ulteriormente, nel 2028 ne avrò 58, rischio di gareggiare con avversarie che potrebbero essere mie nipoti, non figlie”.

Esagerata.

Sono sincera, se non avessi questa carta d’identità, pesante per la disciplina che faccio, continuerei a fare l’alto livello”.

A Los Angeles, farebbe tredici, ma ci pensa?

Chi lo sa, vediamo. Io continuerò a gareggiare. Ma è innanzitutto una questione di testa, e la testa, prima che il fisico, mi dice che c’è anche altro da fare nella vita”.

Quello che fa attualmente, membro del Cda della Fondazione Milano-Cortina e testimonial dei Giochi in arrivo, la inorgoglisce, certo, ma l’appagamento di uno sportivo è altra cosa.

Proseguo con la sincerità: provo un po’ di invidia per questi atleti che avranno la straordinaria possibilità di disputare una Paralimpiade a casa propria, con tutta la Nazione che tiferà per loro. Nel 2006, mi diedi allo sci proprio per disputare un’edizione dei Giochi in casa e nonostante il risultato, la ricordo ancora come un’esperienza unica”.


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