Tamberi si racconta: "Io vivo saltando"

Nostra intervista al neo primatista italiano dell'alto. tra basket, musica e la voglia di acciuffare Barshim
Tamberi si racconta: "Io vivo saltando"© Lapresse / Actionpress
Francesco Volpe
6 min

Gianmarco Tamberi ha sempre avuto tutto per essere un personaggio. Simpatico, estroverso, un fuoco di fila di interessi, passioni, trovate. Ed anche risultati non disprezzabili: bronzo europeo juniores, due quinti posti agli Europei assoluti (all’aperto e al coperto). Sinora però gli era mancata la misura importante, quella che fa notizia e accende la fantasia. Lacuna colmata una settimana fa a Colonia: 2.34, record italiano all’aperto migliorato dopo 26 anni. Un’eternità. Campione per caso, come spesso avviene nel nostro sport. Avrebbe potuto diventare un asso del basket (pare fosse proprio bravo). O magari un grande batterista. Il destino ha voluto che un giorno provasse a saltare. E ora l’atletica italiana sogna di aver trovato il campione-simbolo che le manca ormai da troppi anni.

Gianmarco, partiamo dall’inizio, dai tuoi trascorsi nel basket.
«Ho cominciato a 4 anni e ho smesso quando ne avevo 16. Da bambino i miei genitori mi facevano provare tutto e la pallacanestro è stato l’unico sport che mi ha preso subito. Giocavo alla Stamura Ancona, guardia».
Poi…
«Poi ho vinto gli Studenteschi nel salto in alto: 2,01 senza neppure allenarmi e ho capito che la mia strada era quella».
Addio basket?
«Beh, non proprio. Nel mio appartamento, ad Ancona, ho un canestro attaccato sopra il televisore. Eppoi tutti i miei amici giocano ancora e appena posso vado a vederli. Il Campetto, la squadra con cui ho giocato anch’io, ha appena vinto il campionato di serie D e Marco Ciarallo, che mi faceva da preparatore atletico, è stato eletto miglior giocatore del campionato».
Niente NBA?
«Scherzi? Sono tifosissimo degli Houston Rockets. Il giocatore che più ho amato è stato Tracy McGrady (una guardia capace di segnare 13 punti in 33 secondi; ndr). Oggi il mio idolo è James Harden, quello con la barba da assiro. LeBron James? No, troppo facile tifare per lui».
Beh, in fatto di barba anche tu non scherzi: vai in gara con la faccia rasata a meta…
«E’ una scaramanzia nata per caso. Se me lo chiedi, non ricordo neppure perché. So solo che sono quattro anni che vado in pedana con questo look e non potrei più andarci se non lo facessi. Ormai è un marchio di fabbrica, anche se la mia fidanzata, Chiara, non la sopporta».
Se è per questo tre anni fa ti sei anche presentato agli Europei con i capelli azzurri
«Beh, l’avrete capito, sono un tipo particolare. Mi piace coinvolgere il pubblico, farlo divertire».
Tuo fratello maggiore Gianluca, oltre a lanciare il giavellotto, fa l’attore ed è stato anche eletto “il più bello d’Italia”. In realtà tra voi due chi è il più bello?
«Lui, lui. Io punto sulla simpatia (ride). Tra di noi c’è un bel rapporto, molto stretto. Essendo entrambi atleti ad alto livello ci capiamo e ci aiutiamo nei momenti di difficoltà».
Mai pensato di seguire le sue orme?
«Sinceramente no, per ora penso all’atletica. In futuro, vedremo».
Ad ogni tua gara è associata una canzone...
«Sì, i 2,34 li ho saltati concentrandomi con “Tsunami” dei DVBBS e Borgeous. Cambio sempre. Mi sveglio la mattina della gara, sento un po’ di musica e scelgo un brano. Rock, soprattutto, e dance: non ho preferenze particolari. Adoro la musica. Fino a qualche anno fa suonavo la batteria con una band di amici, “The Dark Melody”, ma ho dovuto smettere per mancanza di tempo».
Tuo padre Marco, ex primatista indoor dell’alto con 2.28 nel 1983, è anche il tuo coach. Un vantaggio o una scocciatura?
«E’ il motivo per cui sono andato a vivere da solo… Così non sono sotto controllo 24 ore su 24 (ride) Papà mi allena da quando ho cominciato a praticare l’atletica. Litighiamo spesso, ma alla fine troviamo sempre un punto d’incontro. Tecnicamente non si discute, ma è anche un bravo psicologo. Il nostro è un combo ben riuscito».
Quando hai superato i “suoi” 2.28 è stato un giorno speciale?
«E’ stata la gara in cui mi sono qualificato per l’Olimpiade di Londra 2012. Sinceramente il fatto di aver raggiunto mio padre è stato l’ultimo dei miei pensieri».
Il record italiano è arrivato a chiudere un periodo nero
«Negli ultimi due anni mi sono infortunato tre volte alla caviglia di stacco e ho subito anche uno strappo di tre centimetri al gluteo destro. L’ultima ricaduta a gennaio: la caviglia non era ancora a posto. E’ stato molto frustrante. Se ne sono uscito è merito di parenti e amici, che mi sono stati vicini, ma anche di Luciano Sabatini, il mental coach che mi segue da un annetto».
Come sono i tuoi rapporti con Marco Fassinotti, il primatista italiano indoor?
«Abbiamo due caratteri diversi, ma è stimolante gareggiare contro di lui. E’ uno che salta sempre molto alto. Negli ultimi tempi non ci siamo ritrovati in pedana, ma ci sfideremo di sicuro agli Assoluti di Torino (24-26 luglio; ndr)».
Vale di più il tuo 2,34 all’aperto o il suo al coperto?
«Beh, all’aperto è più prestigioso e non perché l’ho fatto io. Adesso però l’obiettivo è superarsi, andare oltre. Bello, stimolante».
Barshim e Bondarenko distano una decina di centimetri. Inarrivabili?
«Perché mai? Pian piano mi avvicinerò, step by step. L’importante è crederci, altrimenti non mi allenerei tutti i giorni».
Mentre esegui un salto e spicchi il volo, hai tempo per pensare?
«Sempre. Penso tantissimo. Il salto in alto non sono i 100 metri, la tecnica è tutto. Devi concentrarti su ogni gesto, sino in fondo».
A proposito di 100 metri: cosa pensi della crisi di Bolt e del boom di Gatlin a 33 anni?
«Gatlin mi fa (beep) perché è stato squalificato anni per doping. Bolt ha vinto tutto, ci sta che abbia un appannamento. Resta un fenomeno.
Come il tuo corregionale Valentino Rossi».
Un grande. L’ho incontrato una volta al campo di Pesaro. Era lì per allenarsi e mi sono fatto fare l’autografo».
Lui non l’ha chiesto a te?
«Non scherziamo. Vale è un gigante, di un’altra dimensione».


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