Semenya, arriva l’ultima battaglia

Donna intersessuale, ha vinto in pista e combattuto (e perso) in tribunale. Ora la nuova chance
Semenya, arriva l’ultima battaglia© Getty Images
Christian Marchetti
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ROMA - L’argomento è caldo. Un tema su cui la federatletica mondiale ha deciso già da tempo di produrre una norma contestata, mentre sui social trionfano faccette che ridono e commenti ridanciani di chi ha capito tutto. La prima, in epoca recente, a gettare il sassolino nell’oceano dell’indifferenza è stata Caster Semenya; l’ultima, in ordine di tempo, a cavalcare quella che è oramai diventata un’onda anomala è sempre lei, Caster Semenya. La trentunenne sudafricana di Polokwane, Sudafrica nordorientale, gareggerà ai Mondiali di Eugene al via venerdì prossimo. Non sui “suoi” 800 metri, quelli che le hanno portato tre titoli iridati (2009, 2011 e 2017) e due olimpici (2012 e ‘2016); né sui 400 o sui 1500, per i quali (come per gli 800) il divieto di World Athletics per le atlete con alto tasso di testosterone naturale è ancora in piedi. Correrà sui 5000 ed è un autentico colpo di teatro, anche considerando che manca da un grande appuntamento internazionale dai Mondiali di Londra del 2017. 

Giudizi e pregiudizi

Un’assenza lunga cinque anni, ma quando le si avvicina un taccuino o un microfono tira fuori la grinta che ha sempre sfoggiato in pista. «A Berlino, nel 2019, a dei giudici che continuavano a muovere dubbi sulla mia identità sessuale arrivai a chiedere: “Volete che vi mostri la vagina?”» ha raccontato ultimamente in un’intervista alla HBO. 
La storia è nota: è nata donna intersessuale con corredo cromosomico XY ma con testicoli interni. Da qui quei valori alle stelle. La Semenya si è sempre schierata contro la già citata regola riguardante la partecipazione, sulle distanze comprese tra i 400 e i 1500 metri, delle atlete con “differenze dello sviluppo sessuale” (DSD) iperandrogeniche, che superano cioè la soglia di 5 nanomoli di testosterone per litro di sangue. Specificatamente si oppone all’obbligo di assumere farmaci per abbassare quei livelli vietati ed è persino ricorsa alla Corte europea dei diritti dell’uomo, poiché - è la tesi ufficiale della difesa - «il trattamento farmacologico mina l’integrità fisica». «Quelle medicine mi facevano prendere peso e mi davano attacchi di panico» ha detto Caster. 

La battaglia

L’atleta sudafricana ha avviato una vera e propria guerra in tribunale nel 2019, ossia dieci anni dopo aver passato un test del sesso. Una battaglia in cui continua ad avere il governo sudafricano al suo fianco. Invano, visto che alla fine ha dovuto rinunciare ai Giochi di Tokyo. Niente medaglia? Caster ha risposto diventando, nel luglio 2019, mamma di Oratile, bimba avuta da sua moglie Violet. Ok, è un po’ complicata da raccontare, ma l’importante è che le tre siano felici. E lo sono.  
Nella sfida sui 5000 di Eugene, Caster troverà la burundiana Francine Niyonsaba, che si trova nella sua medesima condizione ed è stata seconda negli 800 sia ai Giochi di Rio 2016 che ai Mondiali di Londra 2017. La sudafricana ci sarà per la defezione di atlete più forti di lei nella specialità. Ma è comunque un punto da cui ricominciare.


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