Giunta esclusivo: “Martinenghi la mia grande sfida, Pellegrini approva anche se vedrò meno nostra figlia

Il coach: "Conosco Nicolò, l’ho sempre apprezzato come persona prima che come atleta. Ci sono i presupposti perché la cosa funzioni alla grande"
Paolo De Laurentiis
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 «Per me è una fortuna poter allenare un atleta come Nicolò». Data d’inizio lavori gennaio 2025: Nicolò Martinenghi, 25 anni, oro olimpico, europeo e mondiale dei 100 rana, ha deciso di lasciare il suo allenatore di sempre, Marco Pedoja. Si affida a Matteo Giunta, per i non addetti ai lavori marito di Federica Pellegrini, per chi bazzica il mondo delle piscine (forse non proprio per tutti, volendo metterci un po’ di malizia) allenatore preparato e su piazza ormai da una quindicina d’anni, sia pure con ruoli diversi.  Base a Verona, uno dei Centri Federali della Nazionale. Lo stesso di Thomas Ceccon, l’altro oro olimpico dell’Italnuoto, protagonista di un battibecco a distanza proprio con Giunta, intervenuto via social per difendere Federica da un “non apprezzamento” di Thomas nei confronti della Divina. «Per me la questione è risolta, andiamo avanti. C’è sempre stato rispetto reciproco sul piano vasca e l’ambiente a Verona favorisce il lavoro ad altissimo livello (Ceccon si allena con Alberto Burlina, ndr). Di certe cose mi sono già dimenticato, mi interessa programmare la stagione che verrà». 

Progetto quadriennale con traguardo Los Angeles 2028, quando Martinenghi avrà 29 anni. Non proprio un ragazzino. Impossibile vincere più di quello che ha già vinto, impossibile fare meglio. Tradotto: Giunta ha solo da rimetterci. 

«Io non la vedo così. O meglio, caratterialmente metto da parte le cose negative e apprezzo quelle positive. È una grande sfida, bella, intrigante, che mi dà una soddisfazione incredibile». 

Gruppo di lavoro? 

«Al momento tre atleti: Nicolò e due delfinisti. Giacomo Carini (che abbiamo visto ai Giochi di Parigi, ndr) e il giovane Camozzi, 18 anni». 

Dubbi? 

«Mi sono fatto soltanto una domanda: ora che abbiamo una figlia piccola, sarò in grado di dedicare a un atleta che ha vinto le Olimpiadi tutte le attenzioni di cui ha bisogno?».  

Risposta? 

«Sì, senza nessun dubbio. Abbiamo una famiglia fantastica, con Federica riusciamo a incastrarci bene e i nonni ci aiutano. Sicuramente passerò meno tempo con Matilde ma la mia motivazione è altissima. Com’è che si dice? Un genitore soddisfatto è un genitore migliore. Federica condivide»

E la “signora Giunta”, tanto per ribaltare il luogo comune, sa cosa vuol dire. 

«Il percorso fatto con Federica è stato praticamente lo stesso e anche con situazioni simili: ho cominciato ad allenarla quando aveva già vinto tutto e le cose non sono andate proprio male». Senza entrare troppo nel dettaglio: due titoli mondiali, la storica quinta finale olimpica a 33 anni. 

Sempre a proposito di pettegolezzo: Giunta non ha fatto la gavetta che fanno tutti. 

«Non sono il tipo che va in giro con il curriculum in tasca, come allenatore mi sento sempre un passo indietro rispetto ai miei atleti, i protagonisti sono loro e non io. Detto questo, intendiamoci su cosa vuol dire gavetta». 

Cosa vuol dire? 

«Se partiamo dal principio che l’unica gavetta è quella del giovane allenatore che parte dalla scuola nuoto, cresce con il proprio atleta fino all’alto livello penso che sia una prospettiva molto parziale». 

La gavetta di Giunta qual è stata? 

«Ho cominciato nel 2008 come preparatore, lavorando sempre in ambienti di altissimo livello: prima con Adn, poi con Rossetto, Lucas e altri, al fianco di atleti fortissimi non solo italiani come Filippo (Magnini, ndr) o Federica. All’inizio, ovviamente senza grandi responsabilità, poi ho fatto il mio percorso. Sono passati 16 anni, quelle sono state le mie “contaminazioni” e lo sport di alto livello ha dinamiche che sono totalmente diverse rispetto a quelle giovanili. Oggi posso dire di aver accumulato un bel bagaglio di esperienza». 

Soddisfatto della sua carriera?  

«Sì, sono molto felice di aver raggiunto quello che ho raggiunto. E personalmente i momenti più belli non li vivo quando arriva una vittoria ma quando vedo la riconoscenza dei ragazzi che alleno. Che va oltre una gara vinta o persa» 

Come si motiva un campione olimpico? 

«Partendo da un presupposto: un atleta di quel livello potrebbe smettere oggi senza nessun rimpianto. Ma se non lo fa vuol dire che vuole continuare e avendo già vinto tutto ha il privilegio, che altri non hanno, di poterlo fare senza dover dimostrare niente a nessuno. Non c’è la pressione di chi deve ancora arrivare» 

Cambiare allenatore aiuta? 

«La domanda è se un atleta lo fa in tempo o se lo fa troppo tardi. Il cambiamento porta sempre una crescita, al di là dei risultati. Ripetere sempre le stesse cose è logorante, soprattutto in uno sport come il nuoto. Arrivati a un certo punto è necessario battere nuove strade, adattarsi troppo nelle proprie situazioni di comfort interrompe il processo di crescita». 

Chi è Nicolò Martinenghi? 

«Lo conosco dal 2017, l’ho sempre apprezzato come persona prima che come atleta. Ci sono i presupposti perché la cosa funzioni alla grande. L’obiettivo è cercare di migliorare». 

Migliorare un oro olimpico? 

«A un certo punto della carriera entra in campo l’esperienza, che diventa un’altra delle armi vincenti. L’importante è che lui stia bene, si senta a suo agio. In questo modo i risultati arriveranno». 

Avete già programmato qualcosa? 

«Ci siamo sentiti ma senza entrare troppo nei dettagli. Lui non sarà ai Mondiali ma deve ancora finire un percorso e non voglio essere d’intralcio». 

Contatti con Pedoja? 

«Con Marco ci siamo visti a Riccione, in occasione dei campionati italiani. Ho un grande rispetto per il suo ruolo e il suo lavoro. Ha sempre pensato al bene dell’atleta e lo sta facendo anche ora, ha capito che quel ciclo si è concluso. Lui e Nicolò hanno fatto un lavoro straordinario».

 


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