Antonelli esclusivo: "Vi spiego come vince Paltrinieri"

Insieme dal 2020, stanno riscrivendo la storia del nuoto, smontando i luoghi comuni. E il viaggio continua
Paolo De Laurentiis

«Ho tolto il cronometro».

A un nuotatore? Sicuro?

«Sì. Ho iniziato con Rachele, non la ringrazierò mai abbastanza. Mi ha messo nella condizione di trovare soluzioni diverse, non sopportava più certi carichi di lavoro».

Sarebbe Rachele Bruni, argento olimpico a Rio 2016 nella 10 chilometri. E ci cascano?

«All’inizio sono sorpresi, bisogna convincerli. È la parte più impegnativa, perché la nostra cultura è quella del cronometro attaccato alla parete, tutti i giorni».

Fabrizio Antonelli, 43 anni, allena il gruppo del fondo al Centro Federale di Ostia. Romano, inizia a nuotare nel periodo d’oro di Stefano Battistelli, prima medaglia olimpica maschile del nuoto italiano a Seul 1988. Bibi si allenava e Fabrizio, ancora con i braccioli, faceva scuola nuoto nella corsia accanto. La piscina era il Domar, quartiere Portuense, ed è ancora lì. Un inizio di carriera da mistista, proprio come Bibi, poi la folgorazione delle acque libere. Oggi con lui si allena Gregorio Paltrinieri e poi Domenico Acerenza, Luca de Tullio e - tra gli altri - la brasiliana regina delle acque libere Ana Marcela Cunha. A occhio, funziona: «Ma non mi sarei mai aspettato tutto questo. Mi piace studiare, aggiornarmi, trovare spunti nuovi».


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Da quando?

«Il primo libro sulla tecnica del nuoto me l’ha regalato il mio allenatore dell’epoca, Stefano, ero esordiente C (quindi una decina d’anni, ndr) sono sempre stato curioso. Direi anche un rompiscatole, per usare un termine educato».

Gli ultimi spunti?

«Dal ciclismo. Per l’aspetto fisiologico e anche tattico. Sto studiando la metodologia di allenamento di Pogacar, ci sono molti punti in comune con il nuoto di fondo».

E il caro, vecchio cronometro?

«Se mi vedete allenare, ai ragazzi chiedo l’intensità e non il tempo. Quello serve a loro per rapportarlo alla sensazione che hanno in acqua».

Perché? Detto in termini comprensibili.

«Parto dal presupposto che il corpo si deve adattare a un certo tipo di sforzo prolungato. Più ti adatti e meno energie spendi. Nuotare in allenamento per forza a una determinata velocità diventa secondario: quel giorno puoi essere stanco perché hai dormito o mangiato male, per una seduta in palestra, per qualsiasi altro motivo. E se insegui il cronometro per fare i tempi che facevi il giorno prima, non ti stai adattando, stai entrando in un meccanismo di consumo energetico che in quella fase della preparazione non è necessario, ti logora e non ti allena».


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Piccola parentesi più tecnica.

«In modo un po’ specifico, lavoriamo sulla potenza lipidica, la capacità dell’utilizzo degli acidi grassi come carburante per le basse intensità. L’idea è quella di portare l’atleta il più fresco possibile nel momento decisivo quando entrano in gioco altri meccanismi energetici».

Torniamo al ciclismo.

«Lo invidio».

Perché?

«Loro possono misurare tutto e in tempo reale durante gli allenamenti e anche in gara. Noi no, la gran parte dei dati li raccogliamo a posteriori. Sulla modulazione dei carichi e sulla programmazione però siamo più avanti noi, anche perché loro spesso si allenano da soli, in modo meno strutturato».

Soluzioni?

«Non lavoro tanto con le frequenze cardiache che i ragazzi dovrebbero prendersi da soli. Il dato non è attendibile. Piuttosto lavoro sulla biomeccanica e misuro l’accumulo di acido lattico che mi dà un dato oggettivo. Che che poi un giorno si va più veloce e uno più piano non ha importanza. In gara, opportunamente riposato, la prestazione viene. E poi le sensazioni: devono sapermi dire quanto si sentono affaticati, anche per conoscersi. L’adattamento lo “vedo” quando la loro scala di fatica diminuisce mentre i parametri oggettivi restano gli stessi».


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Finito lo spiegone, in tutto questo c’è Greg.

«Un fenomeno vero, non soltanto in acqua. È diverso dagli altri».

Per fortuna continua.

«Mai avuto dubbi. Lo vedevo e lo vedo ancora molto centrato sul nuoto. L’entusiasmo è lo stesso».

L’età pesa? A Los Angeles avrà 34 anni.

«Ovviamente sì, ma il giusto. Lavorando in quel modo si sta allungando la carriera, il fisico si stressa di meno. Non è un caso se praticamente tutti i mezzofondisti che hanno fatto la storia del nuoto hanno ballato per poche stagioni, finendo poi per logorarsi».

Obiettivi?

«Intanto deve riprendersi bene dall’infortunio al gomito, soprattutto dal punto di vista tecnico. Poi vedremo. Conoscendolo, sta già ragionando sul quadriennio che porta a Los Angeles e non sul singolo appuntamento».


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«Ho tolto il cronometro».

A un nuotatore? Sicuro?

«Sì. Ho iniziato con Rachele, non la ringrazierò mai abbastanza. Mi ha messo nella condizione di trovare soluzioni diverse, non sopportava più certi carichi di lavoro».

Sarebbe Rachele Bruni, argento olimpico a Rio 2016 nella 10 chilometri. E ci cascano?

«All’inizio sono sorpresi, bisogna convincerli. È la parte più impegnativa, perché la nostra cultura è quella del cronometro attaccato alla parete, tutti i giorni».

Fabrizio Antonelli, 43 anni, allena il gruppo del fondo al Centro Federale di Ostia. Romano, inizia a nuotare nel periodo d’oro di Stefano Battistelli, prima medaglia olimpica maschile del nuoto italiano a Seul 1988. Bibi si allenava e Fabrizio, ancora con i braccioli, faceva scuola nuoto nella corsia accanto. La piscina era il Domar, quartiere Portuense, ed è ancora lì. Un inizio di carriera da mistista, proprio come Bibi, poi la folgorazione delle acque libere. Oggi con lui si allena Gregorio Paltrinieri e poi Domenico Acerenza, Luca de Tullio e - tra gli altri - la brasiliana regina delle acque libere Ana Marcela Cunha. A occhio, funziona: «Ma non mi sarei mai aspettato tutto questo. Mi piace studiare, aggiornarmi, trovare spunti nuovi».


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