Rodri Ovide, il coach dei grandi campioni: "Trasferisco il mio pensiero"

L’allenatore argentino: "Il mio obiettivo per i prossimi anni è cercare di professionalizzare sempre di più il mio lavoro"
Rodri Ovide, il coach dei grandi campioni: "Trasferisco il mio pensiero"
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Nato a Buenos Aires il 10 novembre 1979, Rodrigo Ovide - per tutti Rodri - è uno dei più famosi coach a livello professionistico. A lui in oltre 10 anni di carriera, si sono affidate stelle del calibro di Sanyo Gutierrez, Juan Martin Diaz, Paquito Navarro, Maxi Sanchez, Martin Di Nenno, Carolina Navarro, Alejandra Salazar, Gemma Triay e Marta Ortega, solo per citarne alcune. Conosciamolo meglio.

Perché diventare un coach e quali obiettivi ha per il futuro?

«Dopo aver smesso di giocare, nel 2009 la coppia Reca e Auguste mi ha proposto di essere il loro allenatore e da quel momento ho capito che sarebbe stato quello il mio destino. Il mio obiettivo per i prossimi anni è cercare di professionalizzare sempre di più il mio lavoro, per poter lavorare in modo ancora più specifico con ogni giocatore».

Cosa pensa dei continui cambi di partner?

«A me non piace e credo che anche i miei colleghi la pensino come me. Il più delle volte sono scelte affrettate, che non ci permettono di fare il nostro lavoro».

Come mantenere l'equilibrio all'interno del team?

«Nel corso degli anni ho capito che bisogna parlarsi, lavorare con serietà ed essere umili».

Il padel sta diventando sempre più un gioco di potenza, cosa ne pensa?

«Non credo sia così. Chi si muove bene a livello tattico e gestisce il controllo della palla, sarà sempre un vincente. Guardate Di Nenno e Chingotto, se fosse così dovrebbero essere molto più bassi in classifica».

Molti italiani vengono ad allenarsi in Spagna, che ne pensa?

«È una scelta naturale, come ad esempio la Orsi, che alleno da un paio d'anni. Carolina ha avuto una grande evoluzione, tanto che ha attirato l’attenzione di giocatrici forti come Patty Llaguno con cui ha fatto coppia».

Ritiene che la figura del mental coach sia importante?

«Penso che tutto ciò che aiuti il giocatore a migliorare sia molto importante e la parte mentale gioca un ruolo fondamentale, soprattutto per la pressione a cui sono sottoposti gli atleti».

Il ricordo più bello della sua carriera? E il peggiore?

«Ho molti bei ricordi, in particolare aver portato 8 giocatori a vincere il loro primo titolo da professionisti, è stata una grande gioia, come aver vinto il campionato del mondo con l'Argentina. Il peggiore aver smesso di giocare troppo presto».

Qual è il miglior torneo a cui ha partecipato, anche in termini di ospitalità?

«Penso che il Qatar sia stata un’esperienza unica, poi la Coppa del Mondo a Dubois con l'hotel all'interno del club è stato molto comodo. Ma anche Roma rimarrà indimenticabile».

Punti di forza e debolezza?

«Lavorare sodo, con dedizione cercando di comprendere sempre le esigenze dei giocatori. Il mio punto debole è che sono troppo esigente!».

Se non avesse lavorato nel padel?

«Avrei fatto il batterista».

Ha un sogno?

«Poter condividere il mio metodo e trasmettere il mio pensiero sul padel sempre a più giocatori».


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