Diaz, 44 anni da “Warrior”: "Ho l'agonismo nel sangue"

Il "Guerriero" e quella che potrebbe essere la sua ultima stagione: "Voglio godermela fino alla fine"
Diaz, 44 anni da “Warrior”: "Ho l'agonismo nel sangue"
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Argentino, nato il 27 settembre 1978 a Buenos Aires, Matías Díaz Sangiorgio è da 30 anni un giocatore professionista tra i più amati nel circuito. Il suo gioco è caratterizzato dall'essere difensivo e lottare per ogni punto, motivo per cui è soprannominato “The Warrior”. Raggiunti alla grande i 44 anni di età, questa potrebbe essere la sua ultima stagione, un vero peccato per tutti noi.

Come hai iniziato? «Ho iniziato a giocare a tennis a 4 anni, poi a 11 anni iniziai a giocare a padel».

La partita indimenticabile? «Quella in cui con Maxi Sanchez vincemmo la finale contro Fernando Belasteguin e Pablo Lima, a Bilbao nel 2017. Vincemmo la "txapela" (cappellino tipico dei paesi baschi, ndi). Sono stato tanto contento di quella vittoria, perché ho vissuto a Bilbao, mia figlia è nata lì e conosco molta gente a cui sono affezionato».

Ci parli dei tuoi compagni? «Ho avuto la fortuna di avere molti compagni forti, in pratica tutti quelli che sono al vertice della classifica e con ognuno di loro ho vinto dei tornei e imparato tante cose che mi hanno permesso di diventare quello che sono. Da Paquito Navarro, Alejandro Galán, Franco Stupachuk, Fernando Belasteguin, Hernan Auguste (ora meno noto ma è stato numero 1) e Cristian Gutierrez».

Cosa ti aspetti da questa stagione? «Quest'anno potrebbe essere l'ultimo, vorrei divertirmi e godermelo dall’inizio alla fine e senza infortuni. Sarebbe bello vincere qualche torneo. Ho già 44 anni e porto l'agonismo nel sangue, ogni volta entro in campo per vincere altrimenti non giocherei. Soprattutto amo divertirmi».

Un calendario sempre più fitto e tanti tornei, pro e contro, secondo te? «È un argomento difficile; c'è un conflitto tra i circuiti che non guardano alla salute dei giocatori. Sia il WPT che la Premier e ora anche l’APT (diventato A1) guardano ai loro interessi, mentre dovrebbero prevalere quelli dei giocatori, e servirebbe a mio parere un’associazione che pensi a organizzare un calendario coerente e con delle regole. L'anno scorso è stato duro, quest'anno sembra che succederà lo stesso, questo non può più accadere. Non si può andare ogni volta da una parte all’altra del mondo».

Cosa ne pensi del padel italiano? «Sta andando davvero forte. La Premier di Roma e Milano, i tornei FIP, tutti i tornei sono "sold out". Al Padel Trend Expo a cui ho partecipato pochi giorni fa a Milano ho vissuto ciò che non avevo mai visto in nessuna fiera. Pieno di gente dappertutto, campi, marchi, esibizioni, show, sono rimasto davvero sorpreso».

Che programmi hai nella tua “seconda” vita? «Passare il tempo in famiglia, per recuperare quello perduto a causa dei viaggi e dei tornei».

Sogno nel cassetto? «Il mio sogno è seguire le orme di mio padre quando aprì un centro per allenarsi; con il mio ex compagno di gioco Gastón Malacalza abbiamo infatti ricreato una scuola di alto livello, per poter trasmettere ai giovani una formazione ed educazione sportiva, nonché i valori che abbiamo ricevuto noi per aiutarli a diventare un giorno dei campioni nel campo e nella vita».


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