Il Mental coaching nel Padel

Nel Padel spesso non basta allenare il proprio fisico per raggiungere gli obiettivi prefissati, entra allora in gioco il Mental Coach, un professionista in grado di aiutare l’atleta a trovare le risorse mentali dentro di sé
Il Mental coaching nel Padel© Foto di Lorenzo Gallitto
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ROMA - Molte persone pensano che gli atleti migliori siano quelli più preparati fisicamente, tecnicamente e tatticamente. La verità è che questo tipo di preparazione è tanto fondamentale quanto incompleta: infatti un atleta di Padel che non si prepara mentalmente alla gara manca di un pezzo importante in vista della propria performance. Il padel è uno sport relativamente recente, relativamente semplice da apprendere, almeno nei fondamentali, e questo lo rende sempre più popolare. Tuttavia chi lo pratica seriamente, professionista o amatore che sia, "non può prescindere da un buon allenamento mentale" come ci ricorda Cristina Molinari, Sport Mental Coach appassionata di Padel e autrice di vari articoli e libri sull'argomento."Tutti i giocatori hanno sperimentato partite ricche di emozioni forti come ansia, stress e rabbia ma anche gioia, euforia e sorpresa. Queste emozioni forti, per quanto possano essere piacevoli o spiacevoli, hanno una cosa in comune: vanno gestite".

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Il Mental Coaching nel Padel diviene quindi fondamentale, come in qualsiasi altro sport. Quanto cambia una prestazione in base a quello che diciamo o non diciamo a noi stessi? Forse non ti sei mai fatto questa domanda, ma adesso pensaci un attimo: il 20%? Il 50%? Il 75% forse? No, la prestazione sportiva cambia al 100% in base a quello che ci diciamo (o non ci diciamo) e non solo. Gli stati d’animo non produttivi si ripercuotono sulla nostra struttura muscolare: uno stato di tensione o di preoccupazione ad esempio genera tensione nei muscoli, talvolta piccole scariche di tensione che il giocatore non percepisce nemmeno ma che compromettono la sua efficacia nel gioco e contribuiscono ad aumentare gli errori. Altrettanto insidiose sono le credenze che tutti noi abbiamo, e che per un atleta possono essere tanto deleterie da compromettere la performance. Entrare in campo con una credenza limitante, di cui magari non si è consapevoli, è come correre una maratona con uno zaino pieno di pietre sulle spalle: magari si vince comunque, ma è davvero necessario fare tutta quella fatica? Chiaramente no.

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Come disse Timothy Gallwey, pedagogista di Harward, esperto giocatore e istruttore di tennis e inventore del Coaching: “l’avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che troviamo dall’altra parte della rete.” E aggiungiamo… per sconfiggerlo è fondamentale dedicare una parte della propria preparazione all’allenamento mentale.
(in collaborazione con Mr Padel Paddle)

 


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