Lorusso campione europeo: “Coperto di tatuaggi per sentirmi diverso”

Il neo campione europeo dei pesi gallo racconta la sua vita: gli anni difficili da adolescente, le risse, la scoperta della boxe come salvezza
Lorusso campione europeo: “Coperto di tatuaggi per sentirmi diverso”
Giorgio Burreddu
6 min

Con Alessio Lorusso il bello è che ti lascia entrare. Nell’anima, in una vita piena e dolorosa. Magari qualche volta ruvida, ma sempre ricca di obiettivi, idee, coraggio. «Senza obiettivi proprio non ci so stare, la vita senza non mi corrisponde». Ha appena messo via il titolo di campione europeo dei pesi gallo battendo Sebastian Perez alla dodicesima ripresa (per ko). Ma c’è già un altro orizzonte che lo aspetta. «Vincere il titolo è stato stupendo, davvero. Devo ancora capire bene cosa ho fatto: mi sono preso qualche giorno per rifletterci su, per capire. E poi sto mangiando come un animale, mi sento in colpa».

Tornerà sul ring il 19 novembre, un match ordinario al PalaMeda, la sua Brianza velenosa, senza titolo in palio. «Perché non so stare fermo». Lorusso, 26 anni, prima di imparare a vincere ha dovuto imparare a rialzarsi. «Bisogna fare sacrifici», dice. Si è tatuato tutto sul corpo: la sua storia sulle mani, le gambe, le braccia, la faccia. «Non so quanti sono, ormai non li conto più. Spero siano dispari, così non portano sfortuna. Il primo fu una A fatta da solo, con l’ago, sul petto. Avevo tredici anni, è la A di Auretta, la mia mamma. Andai da lei: “Guarda, questo è per te”. Stava per svenire». Quella di Lorusso è una storia vera, piena di ostacoli, di salti nel vuoto, di sbagli, cadute. «Ho fatto di tutto: risse, cose brutte, tra i diciassette e i diciotto anni stavo in mezzo alla strada. Questi occhi ne hanno viste di cose». 

E le mani? 
«Anche. La boxe è tutta la mia vita. Anzi, è uno stile di vita. Bisogna rispettare le regole, devi essere in un certo modo, e avere una grande passione. Devi essere pronto a privarti di tante cose». 

Gli altri come la vedono? 
«Molti hanno pregiudizi per via dei tatuaggi. Io no, ognuno è libero di essere come vuole. Essere diverso dagli altri mi piace. Sui social mi sparano addosso, ma sono leoni da tastiera».

Lei è social? 
«Il giusto. Seguo tutto, tutto, tutto sulla boxe».

Chi vince davvero sul ring, chi ha meno paura? 
«La paura serve, fa parte del gioco. Chi non ce l’ha è un incosciente. Sul ring non vince il più duro, ma chi ha più testa. E’ la nobile arte, una partita a scacchi. Devi usare il cervello, e poi il corpo si scioglie». 

Lei punge: la chiamano Mosquito, zanzara, vero?  
«Avevo litigato coi miei maestri, allora prendo il biglietto e vado da solo ai campionati italiani senior ad Avellino. Vinco. Dei ragazzi in semifinale avevano preso a chiamarmi mosquito, mosquito. Me lo sono tenuto. E poi la mia boxe è così».

Ha un oggetto, qualcosa che le porta fortuna? 
«No, ma ho le mie scaramanzie. I miei cagnoloni. Ne ho quattro: due stanno con me e la mia ragazza. Gli altri due a casa di mia madre. Prima di un match vado dal mio cane Floyd, che l’ho chiamato così per Mayweather. Lo bacio: “Allora, oggi vinco?”. Se mi lecca è fatta». (e ride)

Qual è il suo sogno? 
«Magari è banale: diventare campione del mondo. E in un futuro avere la mia palestra, gestirla con la mia ragazza e con mio zio. Con qualche amico, anche. Sogno di trasmettere la mia passione ai ragazzi più giovani. Molti pensano che sia portato». 

Quando ha tempo già insegna, no? 
«Insegnare non mi piace. Direi trasmettere. La generazione più giovane è strana. A me dicevano che avevo la fame negli occhi. Molti adesso sono comodi nelle loro vite e al primo allenamento duro mollano».

E lei? 
«Io volevo fare questo. Prima ero una testa di ca..., facevo quello che mi pareva, stavo finendo su una brutta, brutta strada. Non riuscivo a badarmi, mi picchiavo con tutti. Poi mamma disse: “Perché non ti sfoghi in palestra?”. Ci sono andato e lì è cominciato tutto. A un certo punto anche lei si è arrabbiata, non lavoravo, lo facevo saltuariamente. Ma io ci credevo: “Ti faccio vedere io, mamma”. Ed eccomi qui».

Che lavori faceva? 
«Serramentista, consegnavo le pizze. Ho fatto un po’ di tutto. Mamma lavora in un call center. Io volevo fare il pugilato».

E suo padre? 
«Non voglio raccontare di lui. L’ho eliminato dalla mia vita, cancellato. Me ne ha fatte troppe». 

Chi è la persona più importante per lei? 
«Federica, la mia ragazza. E mio zio, Romeo. Non è uno zio di sangue, ma è tutto per me: padre, fratello, amico. Lui c’è da sempre, mi è stato vicino quando non ero nessuno». 

L’amicizia che valore ha per lei? 
«E’ molto importante. Sono un ragazzo che ha bisogno di un amico vero, di presenza e di attenzione. Il mio concetto di amicizia è legato alla presenza, alla condivisione. Le diete, il pugilato, le sensazioni. Tutto. Per esempio Simone Dessi è un fratello, è sempre con me. Abbiamo festeggiato insieme il titolo. Ma c’è già in vista un altro festeggiamento. A casa sua, mi cucina il bollito. Mi piace tantissimo. Mangiare è il mio pallino, infatti la dieta la vivo malissimo. Amo tutto: pasta, pizza. Forse il cioccolato è la cosa che mi piace meno. Ma so che devo rientrare nel peso, che devo fare sacrifici, che ci vuole disciplina. Se vuoi raggiungere degli obiettivi devi lavorare per realizzarli. Non è una strada facile». 

 


© RIPRODUZIONE RISERVATA