Storico, Mandela nella "Hall of Fame" del rugby

Il fondatore del nuovo Sudafrica utilizzò come strumento di riconciliazione lo sport che aveva odiato
Storico, Mandela nella "Hall of Fame" del rugby© AP
Francesco Volpe
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INVIATO A LONDRA

Nelson Mandela non amava il rugby. Anzi, a dirla tutta, lo odiava proprio. Era lo sport dei bianchi, degli oppressori. Dalla prigione di Robben Island, dove trascorse ventisette anni della sua vita, ascoltava per radio le partite degli Springboks e tifava per i loro avversari. Ma quando, nel 1992, il regime dell’apartheid implose e lui diventò il presidente del nuovo Sudafrica, ebbe l’intelligenza, la visione di capire che il rugby poteva diventare uno strumento di riconciliazione. Il destino aveva assegnato al Paese la Coppa del Mondo del 1995 e “Madiba” ne fece il cardine del processo di riavvicinamento tra neri e bianchi.

“One team, one country” lo slogan ideato per quel torneo. Che resta indimenticabile per i suoi interpreti (segnò l’esplosione di Jonah Lomu) ma soprattutto per l’atmosfera che vi si respirava. E per quella foto di Mandela, con indosso la maglia numero 6 dei non più odiati Springboks, che consegna la Coppa del Mondo al suo capitano Francois Pienaar, colui che la maglia numero 6 la indossava sul campo. Ora, vent’anni dopo, World Rugby ha deciso di ammettere Nelson Mandela, morto nel 2013, nella Hall of Fame di questo sport, premiando “l’uomo che ha utilizzato il rugby quale veicolo di cambiamenti sociali volti a riunificare una nazione”. La cerimonia oggi al St James’ Park di Newcastle, prima di Sudafrica-Scozia. Presente ovviamente Pienaar, il capitano di quel sogno realizzato.


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