Rugby, Lovotti-Cole: la mischia è una giungla

Domani a Roma c'è Italia-Inghilterra: il giovane pilone cresciuto nell'Elephant all'esame del gigante dei mitici Lions britannici
Rugby, Lovotti-Cole: la mischia è una giungla
di Francesco Volpe
4 min

Dan Cole ha un paio d’anni più di lui, ma a guardarlo sembra suo padre. E in campo potrebbe essere addirittura suo nonno: 60 caps con l’Inghilterra, tre con i Lions britannici. Uno che s’è preso la maglia n.3 con la rosa e non la lascia neppure per mandarla in tintoria. Uno che pesa 123 kg ed è alto 1.91. Andrea Lovotti sino ad oggi l’ha visto solo in Tv, domani se lo ritroverà di fronte. A dire il vero aveva visto solo in Tv anche Rabah Slimani, il n.3 con il galletto sul petto, eppure gli ha regalato un pomeriggio da incubo. Dopo 50 minuti il c.t. Novès l’ha tolto per disperazione e oggi in  Francia-Irlanda l'ha spedito in panchina a meditare. Cole però è proprio un’altra cosa. Basti dire che a Leicester ha costretto dapprima tra i rincalzi e infine ad emigrare un tipetto come Martin Castrogiovanni. Che adesso pregusta una vendetta per... interposto rugbista.
    «“Castro” in questi giorni mi ha aiutato a preparare la sfida a Cole - confessa Lovotti, 26 anni, alla seconda presenza azzurra - Spero che i suoi consigli si rivelino utili, ma il problema sarà l’intero pack inglese, non solo lui. Il bello dell’essere pilone è che ogni volta giochi una partita nella partita; il brutto è che, se la mischia non va come deve, ti entra un tarlo nella testa. Combattimento singolo e di squadra: l’importante è trovare il giusto mix». Come a Parigi, quando dopo i primi ingaggi andati male la prima linea azzurra ha serrato le fila e mandato in tilt l’omologa francese.

PORTIERE - Andrea è stato il più efficace tra i sei debuttati azzurri dello Stade de France e dell’esordio conserva ancora l’improbabile taglio alla mohicana della “matricola”. Dei rookie era quello con il carico di aspettative più pesante, perché nel ruolo non c’era un veterano cui ricorrere in caso di fallimento. L’alternativa è Matteo Zanusso, che in fatto di età (22 anni) e minuti in Nazionale (14), è meno navigato di lui. Lovotti però poggia su basi solide, su una carriera costruita per gradi. Dagli inizi all’Elephant Gossolengo, passando per l’A2, l’Eccellenza e la Celtic League. Terza linea, poi tallonatore, infine pilone sinistro. Con l’etica del lavoro ereditata da una famiglia in cui ci si rimbocca le maniche. Papà Massimo fa l’idraulico, mamma Marina gestisce un negozio di estetica con la figlia minore Gaia e uno zio.
    «Papà da giovane ha provato il rugby, ha partecipato a qualche allenamento, ma non ha mai fatto sul serio. Io ho cominciato con il calcio. Portiere, perché mi piaceva buttarmi, uscire addosso agli attaccanti. Sono sempre stato irruento. Ero anche bravino. Poi un allenatore dell’Elephant è venuto a scuola a fare proseliti e il rugby mi è piaciuto subito. Undici anni e nessuna paura: non ho più smesso».
    «Quand’è arrivato alle Zebre non aveva ancora una condizione ottimale - rivela “Ciccio” De Carli, coach degli avanti azzurri - Si è messo sotto, perché ha la testa giusta, e la sua massa grassa è scesa dal 21 al 16%. Ora è a posto». Malgrado gli anolini in brodo di mamma Marina...

ELEFANTE - L’addio all’azzurro di Aguero e il serio infortunio subito da Rizzo gli hanno schiuso le porte della Nazionale. Al momento giusto. «Non avevo mai visto il Sei Nazioni dal vivo e ci sono finito dentro. Lo seguivo in Tv, con gli amici. Sognando un giorno di giocarlo. Ricordo la gioia quando battemmo la Francia al Flaminio (2011; ndr) e quando ripenso alla sconfitta di Parigi ancora mi brucia. Qui è tutto più grande, più curato, più organizzato. Quello che fai, lo fai sempre al massimo». Quello che l’Italia gli chiede domani. L’elefante Lovotti contro il leone Cole. La mischia sarà una giungla.


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