Rugby, via al Sei Nazioni. Il ct Quesada svela i segreti dell’Italia

L’argentino: "I suoi successi ci aiutano. Mi riconosco nella filosofia di Velasco, presto ci incontreremo"
Rugby, via al Sei Nazioni. Il ct Quesada svela i segreti dell’Italia© Federugby via Getty Images
Francesco Volpe
7 min

Gonzalo Quesada parla quattro lingue - spagnolo, inglese, francese e italiano - ha vissuto metà della sua vita in Francia, ma era e resta argentino. Di più, un Puma. Orgoglio, carattere, grinta, voglia di vincere. Specie la sua nuova sfida: dimostrare che l’allenatore di club (scudetto con lo Stade Francais) e di franchigia (finalista nel Super Rugby con i Jaguares argentini, un miracolo), l’assistente di Lievremont ai Coqs e di Ledesma ai Pumas, è pronto a imporsi anche con una nazionale. Tutto quello che serve all’Italia Speedy Gonzalo o Queso (i soprannomi non gli mancano) si muove e si esprime come un latino, ma si riconosce in uno stile di lavoro anglosassone. «Cuore e passione all’interno di una struttura» il suo motto. L’illustrazione della sua filosofia ci ha ricordato quella dell’età dell’oro di Georges Coste, anni Novanta: «Si comincia con difesa e conquista (Coste predicava difesa e recupero; ndr), quando avremo il pallone penseremo ad attaccare. Usando la velocità e la capacità di muovere la palla dei ragazzi». Non dice, per fortuna: «Vinceremo il Sei Nazioni». Ed è già una bella base di partenza. 

Señor Quesada, meglio essere argentino o giocare il Sei Nazioni? 

«Meglio essere argentino e indossare la maglia dei Pumas, ma per i Pumas giocare il Sei Nazioni sarebbe l’ideale. E’ un torneo che fa sognare i bambini. Tutta la mia generazione è cresciuta guardando le partite dell’allora Cinque Nazioni. Febbraio in Argentina è mese di vacanze estive, ma il sabato mattina abbassavamo le persiane per fare buio e ci piazzamo davanti alla Tv. Ho avuto la fortuna di viverne tre da assistente con la Francia, dal 2009 al 2011». 

Diego Dominguez da Cordoba ci ha portato nel Sei Nazioni: cosa le ha consigliato? 

«Mi ha detto che esprimermi in italiano doveva essere la priorità. Ho visto tutte le partite, analizzato il gioco, studiato prima e durante la Coppa del Mondo, ma soprattutto ho imparato la lingua. Per me è la prima espressione del rispetto, il modo di far passare il messaggio che sono orgoglioso di questa sfida, che mi sento molto più che pronto. Poi Diego mi ha consigliato di trovare casa a Milano o nei dintorni (ha scelto l’hinterland; ndr). L’ideale per il lavoro di mia moglie (nutrizionista; ndr) e per i miei spostamenti tra Parma e Treviso o le riunioni con gli altri membri dello staff azzurro». 

E Sergio Parisse da La Plata? 

«Con Sergio siamo amici, parliamo tanto, di tutto. Quattro anni assieme, io come capo allenatore, lui come capitano. Ha origini argentine, ma si sente italiano al 100% Mi ha detto che avrei lavorato con una bella generazione, che ha tutto per essere al top internazionale».  

Che criticità ha trovato? 

«Ci manca un po’ di profondità in qualche ruolo. Eppoi qualche ragazzo non è stabilmente titolare nel proprio club. La sfida è fare in modo che lo diventi. La cosa più importante è il lavoro che si fa nelle franchigie, dove c’è tanta qualità. Claro, si può sempre fare un po’ meglio, ma dopo il torneo potremo affinare molte cose. Ho trovato grande disponibilità da parte loro. La bella sorpresa di quest’anno sono i successi del Treviso e la bella stagione delle Zebre. Che ci aiutano: abbiamo bisogno di imparare a vincere». 

Lei predica un capitanato allargato, com’è nei Pumas: chi saranno i leader? 

«Ci stiamo lavorando. Ogni giorno facciamo riunioni, individuali e per gruppi. Parliamo di visione comune, obiettivi, identità, cultura. Un lavoro che mi aiuta tantissimo. Poco a poco sta emergendo una rosa di giocatori carismatici, con cui ho fatto qualche piccola riunione, ma niente di specifico sulla leadership. Dopo questa settimana di raduno potremo già iniziare a definire un futuro consiglio dei leader». 

Il giocatore a cui non potrebbe rinunciare? 

«Presto per parlare di singoli. Mi piace molto l’entusiasmo del gruppo e l’impegno di tutti. È questo l’aspetto più importante: il gruppo» 

Il suo giudizio sull’Inghilterra, la nostra prima avversaria. Forse era meglio affrontarla ad agosto... 

«È arrivata terza al Mondiale, conosciamo il loro valore. Noi stiamo cercando, ottimizzando il tempo a disposizione che non è molto, di essere pronti per l’esordio». Ieri intanto gli inglesi hanno perso l’apertura titolare: Marcus Smith, infortunato». 

Il francese Dupont ha scelto l’Olimpiade, l’inglese Farrell un anno sabbatico, il gallese Rees-Zammit il football Usa. Tre big dicono no al Torneo: questo rugby logora? 

«Per vivere lo sport ad alto livello devono combinarsi tanti fattori, tra cui quello mentale. Non credo sia un problema legato solo al rugby». 

Nel suo lavoro trae spunto dagli altri sport? 

«Mi piace studiare sempre, aggiornarmi. Ma credo che ogni cosa debba essere adattata alla propria realtà per funzionare e non possa essere copiata in toto».  

C’è un altro argentino che allena l’Italia, il volley femminile: Julio Velasco... 

«Lo stimo. Mi riconosco nella sua filosofia, mi piacerebbe tanto condividere un po’ di tempo con lui qui in Italia. Penso che ci incontreremo presto per conoscerci e per uno scambio di opinioni».  

E’ scaramatico? 

«No. I risultati sono consequenza della preparazione e si ottengono lavorando bene». 

Come vive il suo tempo libero? 

«In Francia giocavo molto a polo. È una grande passione e con il tempo proverò anche in Italia (ha già avuto modo di praticarlo in Toscana; ndr). Il calcio? Lo seguo. Sono tifoso dell’Independiente e del Psg».  

A fine Sei Nazioni sarà felice se...? 

«... la squadra avrà giocato al meglio, dando il massimo». 


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