Sofia Stefan, la veterana del rugby dalle 100 presenze: "Ma prima o poi giro il mondo in van"

Sofia Stefan, la veterana del rugby dalle 100 presenze: "Ma prima o poi giro il mondo in van"

La campionessa azzurra, impegnata al Mondiale, si racconta dopo aver raggiunto un traguardo prestigioso: "Donne e sport, c'è ancora da fare"
Chiara Zucchelli
5 min

L'Italia femminile di rugby, ko contro Francia e Sudafrica, è fuori dal Mondiale di rugby. Ma se c'è uno sport che insegna che il risultato sportivo non è tutto è proprio questo. Certo, anche basta con la storia (maschile e femminile) delle onorevoli sconfitte a testa alta: l'Italia sta crescendo, ogni giorno e ogni partita, e vuole spingersi sempre più su. Lo sa bene Sofia Stefan, 100 caps raggiunti proprio contro il Sudafrica. E allora il nastro si riavvolge all'indietro, ci si da una pacca sulla spalla per quello che si è fatto e si traccia anche un bilancio. Non di questa coppa del Mondo, ma del percorso nel rugby e, in assoluto, dello sport femminile. Non si va avanti, se non si passa indietro: è il rugby. Ma pure la vita.

Sofia Stefan, 33 anni, di Padova, terza azzurra a raggiungere il traguardo dei 100 caps, dopo Sara Barattin e Lucia Gai. Eppure con il rugby ha iniziato tardi.

"Sì, ho praticato atletica leggera prima di conoscere il rugby. L’ho scoperto tramite la scuola, quando dei tecnici sono venuti a proporci questo sport. Da lì l’ho provato e non l’ho più lasciato".

La partita più bella e quella più brutta di queste 100 in azzurro?

"La partita più bella è sicuramente quella in cui battemmo la Francia (a Ivrea, nel 2019): in quel Sei Nazioni arrivammo seconde e fu una bella soddisfazione - personale e collettiva - per tutto l’impegno messo in campo e per la gioia dei nostri tifosi. La partita più complessa da mandar giù - non la definirei brutta - è quella con l’Inghilterra del 2023, perché fu davvero faticosa su tanti livelli, ma devo dire che ci siamo rialzate in fretta".

Ci racconti che tipo è: cosa le piace fare? Passioni oltre la palla ovale?

"Mi piacciono molto i cani e amo andare in montagna. Cerco sempre di ritagliarmi del tempo per andarci, compatibilmente con gli impegni sportivi".

Ha giocato a Rennes, Manchester e la aspetta Tolone. Andare all’estero è un’esperienza che consiglierebbe?

"Assolutamente sì, per aprirsi principalmente a nuove esperienze e crescere come persona. É un’esperienza formativa anche come atlete perché ti mette a contatto con contesti di alto livello diversi dal nostro".

Cosa vorrebbe fare dopo?

"Vorrei rimanere nell’alto livello come preparatrice atletica: del resto ho studiato per questo. Ma rimane sempre aperta l’ipotesi di girare il mondo con un van. Bisogna essere preparati a ogni imprevisto".

A che punto è la professionalizzazione del rugby femminile in Italia e in assoluto dello sport femminile?

"Abbiamo intrapreso un cammino, ma ancora non siamo al suo compimento. Certo, negli anni lo sport femminile è cresciuto e ha visto un percorso di progressiva professionalizzazione. Per quanto riguarda il rugby, la contrattualizzazione di alcune atlete da parte di FIR è stato un passo in avanti, ma sono sicura che in futuro avremo maggiore margine di crescita".

Ha seguito l'Italia femminile di calcio agli Europei?

"Sì, e devo dire che hanno saputo farci emozionare, mettendo in campo tutte loro stesse. Speriamo di poter fare altrettanto per i nostri tifosi e per noi stesse".

Sport femminile e ciclo: se ne parla molto, dopo le ultime Olimpiadi: pensa sia un tema da sviluppare?

"Indubbiamente: può influire sulla preparazione e sulle prestazioni individuali. In quanto atlete impariamo a gestire le emozioni che si accentuano in alcune fasi del ciclo. Una maggiore attenzione da parte degli staff e un supporto psicofisico possono agevolare le scelte che si fanno, anche dal punto di vista della programmazione e della gestione del gruppo".

I suoi idoli, sportivi e non?

"Non credo di avere degli idoli in quanto tali. Sicuramente ho degli esempi: quando ho iniziato a giocare, Paola Zangirolami, che mi fece segnare la mia prima meta. Poi ci sono atleti che ammiro, anche solo per le loro storie, come Pietro Mennea o Mauro Berruto. Come non sportivo direi Fabrizio De André".

Ci racconta i suoi tatuaggi?

"Raccontano momenti importanti della mia vita".

Ha una canzone che la carica prima delle partite?

"Ascolto sempre I’m on Fire di Bruce Springsteen".

Ultima domanda: tra un mese sarò felice se...

"Se avremo fatto di tutto per regalarci un’esperienza indimenticabile e che ripaghi l’impegno messo in campo e fuori".


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