Rugby, Fabiani in azzurro nel segno dell'aquila

Il padre del nuovo tallonatore convocato per il Sei Nazioni ideò il simbolo più amato dai laziali. Per fare il professionista è dimagrito di 40 chili!
Rugby, Fabiani in azzurro nel segno dell'aquila
di Francesco Volpe
4 min

La faccia è quella di un bambino in un negozio di Nutella. Con facoltà di mettere un dito nei barattoli. Oliviero Fabiani è tornato all’Acquacetosa e non ci credeva nessuno. Nemmeno lui. «Sì, mi fa strano. Sono entrato e in guardiola mi hanno chiesto: “E tu che ci fai qui?”. Strano ritrovarmi in maglia azzurra su questi campi, strano ripercorrere il corridoio del porticato. L’avrò fatto settecento miliardi di volte e sognavo di farlo così. Sono felicissimo».
    Olly è l’ultimo acquisto della Nazionale degli esordienti. Negli ultimi mesi della sua gestione, il c.t. Jacques Brunel ne ha già lanciati otto. Il romano potrebbe essere il prossimo. Complice la moria di tallonatori, si è ritrovato titolare alle Zebre, la franchigia con cui gioca in Celtic League. Ha fatto bene e si è meritato la chiamata ora che la moria ha colpito Casa Italia. Con il veterano Ghiraldini in forse, sabato a Dublino potrebbe esserci spazio per lui.
    «Ho saputo della convocazione proprio in Irlanda, a Belfast. Avevamo appena perso con l’Ulster e non sapevo come gestire quel tourbillon di emozioni. Ero amareggiato per la sconfitta, ma felice per la chiamata. Fortuna che i primi a farmi i complimenti sono stati proprio i miei compagni. La prima telefonata l’ho fatta a mio fratello Gregorio, non volevo che a mamma Fabrizia venisse... un colpo - scherza con gli occhi che ridono - poi è stato un inferno, tra sms, tweet, mail. «Saverio (Colabianchi; ndr), mio ex compagno alla Lazio, mi chiama tutti i giorni dalla Francia per sapere come va il raduno».

SECONDA PELLE - La Lazio, già. La sua seconda pelle. E non solo per il rugby. La passione è di famiglia, e di lunga data. Nonno Luciano è stato vicepresidente della Lazio calcio a metà anni 60, ai tempi di Umberto Lenzini. Papà Federico, prematuramente scomparso, curava la biglietteria ed è stato tra gli ideatori del logo più amato dai laziali: l’aquila stilizzata, tornata in auge lo scorso anno durante la galoppata verso il terzo posto dei ragazzi di Stefano Pioli. A casa Fabiani ci sono ancora i bozzetti, le prime maglie con quel simbolo. Lo stadio resta il punto più frequente di ritrovo della famiglia, ora che Oliviero abita a Parma.
    «Io in realtà iniziai alla Primavera, portato al campo da “Picci” Bonavolontà (ex Rugby Roma; ndr). Il figlio Davide è il mio miglior amico, stavamo in classe assieme. Mi disse: “Sei grosso e grassottello, vieni a provare”. Avrò avuto 5 o 6 anni. Alla Lazio sono arrivato quando i due club si sono fusi e non l’ho lasciata più». Due finali scudetto U.19, poi l’esordio in prima squadra e l’incontro con Victor Jimenez, tallonatore argentino. «Tutto quello che so del rugby di alto livello lo devo a lui. L’ho avuto come tecnico in giovanile, poi in prima squadra e ora alle Zebre. C’è tanto di lui nel mio modo di giocare, nella mia testa». Il resto lo deve ad Antonello Livrieri, uno psicologo che è «più un amico che un terapista. Mi dà consigli, mi aiuta ad affrontare certe situazioni, mi trasmette serenità».

BILANCIA - Oliviero è un esempio di dedizione e professionalità. Tecnicamente è molto dotato, fisicamente non è un gigante. Ma il carattere sopperisce. Quando a 18-19 anni ha capito che nel rugby poteva fare sul serio, s’è preso un preparatore e una nutrizionista, e in sei mesi è sceso di 40 chili (ne pesava 136...). E per due o tre anni, pur di giocare con la Seven azzurra, ha perso d’estate altri 10 chili con una preparazione da gulag, per poi riprenderli in vista della stagione invernale nel XV. «Ha fatto della sua passione un lavoro - chiosa il fratello Gregorio - Il rugby è la sua vita». Chissa come, ce n’eravamo accorti. Vola Oliviero, vola.

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