Rugby, il futuro secondo Gavazzi: "Produrremo azzurri e risorse"

Il presidente FIR a 360 gradi dopo il peggior Sei Nazioni di sempre. "Lo staff tecnico per il dopo Brunel funzionale al nuovo progetto. Con Treviso e Zebre faremo sistema"
Rugby, il futuro secondo Gavazzi: "Produrremo azzurri e risorse"
di Francesco Volpe
6 min

INVIATO A CARDIFF
Alfredo Gavazzi assiste mescolato ai giornalisti all’ultima conferenza stampa del c.t. Jacques Brunel. Il presidente federale ha l’aria sfatta di chi è reduce da un incontro sul ring con il campione del mondo dei pesi massimi. Ogni meta gallese dev’essere stata un diretto al volto, o allo stomaco. In tre anni è passato dal miglior Sei Nazioni di sempre (2013) al peggiore in assoluto (2016). E in autunno lo attendono pure le elezioni...
    Presidente, al tirare delle reti, il bilancio della gestione Brunel è molto negativo
    «Restando a questo Sei Nazioni, con 20 indisponibili e 12 esordienti credo che qualunque squadra si sarebbe trovata in difficoltà. Siamo stati costretti ad accelerare un ricambio generazionale che era nell’ordine delle cose»
    Non era il caso di anticipare l’addio di Brunel?
    «Alla Coppa del Mondo abbiamo giocato alla pari con l’Irlanda (9-16; ndr) e da allora cos’è cambiato? Il c.t. è lo stesso, i giocatori pure. La differenza sta semmai negli infortuni. Eppoi in vent’anni, a Calvisano come in Federazione, non ho mai mandato via un allenatore. Ho profondo rispetto per Brunel, come tecnico e come persona. Guardiamo avanti, non indietro».
    Ecco, guardiamo avanti: si volta pagina. Come?
    «Con un nuovo staff (Conor O’Shea c.t. o “director of rugby” che dir si voglia; Mike Catt ai tre-quarti e, tra un anno, Brad Davis, alla difesa. In più Stephen Aboud, ex federazione irlandese, quale direttore dell’intera piramide formativa federale; ndr). Prima di sceglierlo, ci siamo chiesti cosa volevamo dal nuovo tecnico e dai suoi uomini. Abbiamo puntato su persone che possano farci crescere al vertice e alle spalle del vertice. E che sappiano formare non solo i giocatori, ma anche i tecnici. Volete un retroscena?».
     Prego
    «Avremmo potuto ingaggiare Eddie Jones, il c.t. che ha rilanciato l’Inghilterra. E’ un vincente, ma non l’abbiamo scelto; e sapete perché? Perché volevamo un giovane che avesse voglia di affermarsi, con esperienza nell’alto livello ma anche nella formazione. Anche per questo abbiamo bocciato la candidatura del francese Fabien Galthié, un uomo di campo».
    Però se al nuovo staff non date carta bianca e non gli assicurate la collaborazione di Treviso e Zebre, sarà tutto inutile.
    «I rapporti con Treviso sono cambiati drasticamente da quando sono diventato presidente. Prima ci si faceva i dispetti, adesso c’è spirito di collaborazione. Il nuovo staff di Treviso ha già parlato con il futuro staff azzurro. E lo stesso dicasi per le Zebre, che in breve tempo dovranno diventare private al 100%. Nazionale e franchigie devono vivere in simbiosi, per il bene del rugby italiano».
    Funzionerà?
    «Guardi, dopo la Coppa del Mondo 2015 abbiamo selezionato una lista di 110 giocatori di interesse nazionale che potrebbero arrivare all’edizione del 2019. Le franchigie stanno scegliendo i giocatori in base a questa lista»
    I giovani però sembrano stentare all’impatto con l’alto livello.
    «Il problema è che il filone argentino, su cui abbiamo poggiato per vent’anni, si è esaurito. Adesso i migliori oriundi restano in Argentina e puntano a vestire la maglia dei Pumas. I giocatori dobbiamo imparare a costruirceli in casa. Certo, se c’è l’occasione di prendere un equiparato di qualità non ce la lasceremo scappare. Il seconda linea sudafricano Koegelenberg (21 anni, 2.02; ndr) è stato portato alle Zebre in quest’ottica, è frutto di una pianificazione. Ma la base della Nazionale dovrà essere italiana».
    Le squadre di vertice, la Nazionale come le “celtiche”, lavorano sempre con staff tecnici inadeguati alle moderne esigenze dell’alto livello.
    «E’ un problema di risorse. Il nostro budget attuale è di 47-48 milioni di euro, la Scozia viaggia sui 60, l’Irlanda ne ha quasi il doppio. Il nostro progetto passa anche per una crescita degli introiti. Cresceranno i diritti televisivi garantiti dal Sei Nazioni e i test-match autunnali garantiranno ricavi maggiori (a novembre arrivano All Blacks e Sudafrica, a Roma e probabilmente a Firenze; ndr). Ma la crescita economica passa anche per la nuova sede federale, per cui sono stato attaccato duramente. Non è uno sfizio. Dobbiamo rafforzare il settore commerciale, se vogliamo aumentare il budget, perché quello è il ramo che può crescere di più. Ma servono spazi e non solo per una questione di rappresentanza, Nella nuova sede troverà posto anche una nostra agenzia di viaggi, che ci consentirà di razionalizzare e ridurre le spese. Poi c’è un altro aspetto»
    Quale?
    «Oggi la community del rugby in Italia è quantificabile sui social in 500.000 persone. Se riuscissimo ad avvicinare ognuna di loro e a farci dare 10 euro, intascheremmo altri 5 milioni da investire sul movimento. E 10 euro equivalgono all’acquisto di una semplice T-shirt, o di una polo. Non sarà facile, ma dobbiamo provarci. Infine dobbiamo crescere nel merchandising delle maglie. Nel 2017 scadrà il contratto con l’Adidas, che lascerà noi e la Francia per tenere in esclusiva gli All Blacks. Con il nuovo sponsor tecnico (si parla dell'italiana Macron, che già veste la Scozia; ndr) dovremo lavorare per far sì che la gente vada allo stadio indossando i colori della Nazionale, come avviene in ogni parte del mondo».
    Da mesi non si fa che parlare di promozioni e retrocessioni nel Sei Nazioni. Qual è la sua posizione?
    «Ma li avete visti gli stadi in cui gioca l’Italia? L’anno scorso abbiamo fatto il tutto esaurito a Twickenham, quest’anno a Dublino e a Cardiff. Certo, i tifosi sranieri vengono a sostenere la propria squadra, ma anche a vedere noi. Evidentemente non siamo poi così male».


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