Dominguez fa le carte al Sei Nazioni: “Francia in pole, l’Italia deve confermarsi”

Il grande ex azzurro: "Occhio anche all’Inghilterra di Borthwick"
Dominguez fa le carte al Sei Nazioni: “Francia in pole, l’Italia deve confermarsi”© Lapresse / PA
Francesco Volpe
6 min

Quando il Sei Nazioni chiama, Diego Dominguez torna un Europa. L’uomo che trascinò la grande Italia di Georges Coste ha lasciato la sua fazenda e arriverà a Roma oggi, vigilia della “prima” all’Olimpico contro la Francia. Una delle sue tre patrie. Argentino di nascita, italiano (e azzurro) per parte di mamma, a lungo “francese” per lavoro (sette stagioni e quattro scudetti allo Stade Français). I suoi tre figli li ha... distribuiti equamente: Piero è nato a Milano, Sol a Cordoba, Thomas a Parigi. E i due maschietti oggi giocano al Valorugby di Reggio Emilia: apertura il primo, mediano di mischia il secondo. In Europa lo attirano il fascino del Torneo (rigorosamente con la “T” maiuscola) e l’impegno in qualità di commentatore tecnico per Sky Sport. E il suo punto di vista è com’era la sua visione di gioco: mai banale. Sentiamolo. 

Dominguez, che Sei Nazioni sarà? 
«Un Torneo entusiasmante. La Francia è favorita, ma deve andare in Irlanda. Non sarà facile. Eppoi ci sono due squadre con nuovo coach. Steve Borthwick è stato nello staff di Eddie Jones e sul campo era un giocatore duro, vecchia scuola, che darà un’impostazione simile alla sua Inghilterra. Il Galles si è affidato di nuovo a Warren Gatland, un vincente, ma che ora farà più fatica perché trova una squadra con tanti problemi, anche fuori dal campo. Per noi dipenderà tutto dalla partita con la Francia. Loro sono favoriti, ma se saremo competitivi davanti, potremmo sorprenderli. Poi ne avremo altre due in casa e quella in Scozia dipenderà da come ci arriveranno loro. Punto su due vittorie». 
 
La Coppa del Mondo autunnale condizionerà il Torneo? 
«No. Questo è il Sei Nazioni, una cosa a parte. Tutti lo vogliono giocare, tutti lo vogliono vincere. È storia, orgoglio, onore. Con tanti soldi in ballo...» 
 
Dall’Italia cosa s’aspetta? 
«La conferma di un grandissimo 2022. Cinque vittorie - e di queste due straordinarie, la prima a Cardiff e la prima con l’Australia - un gioco e un atteggiamento diversi, una squadra competitiva. Spero di rivedere il bellissimo rugby mostrato in autunno e un pacchetto d’avanti che faccia male a tutti. Dietro cominciamo ad avere ragazzi di qualità. E non parlo solo di Capuozzo. Ci mancherà molto Ioane, con Ange forse il miglior tre-quarti dello scorso anno». 
 
Ma un conto è novembre, un conto il Torneo... 
«E’ vero, l’appoccio però è quello, la fiducia c’è e tutto poggia sui risultati importanti del Benetton, l’ossatura della Nazionale» 
 
Crowley in un anno e mezzo ha trasformato la squadra. 
«Ha tantissima esperienza ad alto livello: estremo degli All Blacks campioni del mondo, ha fatto bene anche da c.t. del Canada. Alla Nazionale ha trasmesso fiducia, tranquillità, sfruttando una generazione di giovani buoni e ben formati. L’unica cosa che gli manca è... l’italiano: se lo impara, potrà comunicare di più e meglio. Importante anche la mentalità vincente acquisita dai ragazzi con le U.20» 
 
Punti deboli? 
Tre. Il gioco al piede: siamo deboli e nel rugby di oggi è fondamentale. Ti fa vincere le partite. Poi, la continuità in conquista: i nostri palloni devono essere nostri, curando di più i dettagli. Infine il placcaggio. Deve venire naturale: pim, pam, a terra». 
 
Dominguez, poi Parisse: Capuozzo può segnare un’era come voi? 
«Ha restituito al rugby il piacere dell’anticipo, dei cambi di direzione. Prima ce l’avevano tutti, poi è arrivata l’era di Lomu e dei giganti e si è persa questa grande bellezza, questa fluidità. Anche il calcio l’ha persa. La bellezza dell’uno-contro-uno. Capuozzo diverte e si diverte. Mi ricorda molto il francese Dominici e dimostra che con gambe e intelligenza a rugby possono giocare tutti. Sta facendo la differenza contro i migliori. A Tolosa ha una concorrenza bestiale. E lui gioca. Ha una marcia in più,. E coraggio, che viene prima di tutto». 
La piramide italiana è zoppa perché le Zebre non riescono a decollare. Lei che farebbe? 
«Le Zebre vanno ristrutturate. E nel Top 10 manca il gioco. Occorre un Top 10 forte per avere franchigie forti. Bisogna investire sul Top 10. Sulle Zebre serve un tavolo: i giocatori non li può scegliere una persona sola, in Irlanda non succede. Anche perché è la FIR che paga. Vanno presi in base alle necessità. Due-tre stranieri molto forti e il resto italiani» 
 
La Georgia non meriterebbe di entrare come accadde con voi? 
«Non ancora. Strutture, filiera: va preparata. Poi magari in futuro si potrà pensare a una partita di barrage. Oggi i suoi giocatori sono tutti all’estero: non mi pare pronta» 
 
Hanno ridotto il tempo per chi piazza: 90” per trasformare, 60” per una punizione... 
«Sono d’accordo. Io ci mettevo meno di un minuto. Il calciatore avrà ancora più pressione, ma un minuto è tanto. Vanno ridotti i tempi morti. E parlo anche dell’uso del TMO» 
 
La Coppa del Mondo può tornare in Europa? 
«Sì, la Francia e l’Irlanda possono vincerla. Ovviamente c’è il Sudafrica, e la Nuova Zelanda. Sono le quattro favorite. Vedo outsider l’Inghilterra e l’Australia con Eddie Jones. Metterei anche l’Argentina, che ha un pacchetto di mischia di livello mondiale, tre-quarti che placcano e un calciatore preciso. Il suo proble ma però è la continuità» 


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