Se il virologo diventa maestro di tutto

Se il virologo diventa maestro di tutto© ANSA
Alessandro Barbano
5 min

Rezza, Pregliasco, Galli, Crisanti, Locatelli, Buzzi, Capua, Palù, Ricciardi, Vella, Gismondo, Ippoliti e molti altri: chi erano costoro fino a due mesi fa? Virologi, infettivologi, immunologi, autorità nel contesto scientifico in cui hanno maturato la loro carriera. Ma perfetti sconosciuti al grande pubblico. Sono diventati nostri compagni e consiglieri nel salotto televisivo, a cui ci siamo consegnati con una dipendenza mai vista prima. Davanti alle telecamere alcuni di loro trascorrono un tempo così ampio che viene da domandarsi quanto gliene resti per combattere la pandemia. Ma, si sa, la nostra domanda di informazione e il nostro bisogno di rassicurazione fanno la loro voce più desiderabile.

Il fatto è che, a furia di stare in tv dalla parte di chi racconta, spiega e giudica, alcuni di questi sapienti si sono convinti di poter maneggiare con le pinze del proprio sapere tutto lo scibile umano. Del resto, i conduttori televisivi li sollecitano mescolando i temi più diversi, dalle reazioni biochimiche del virus nell’organismo alle scelte politiche sulla riapertura del Paese, fino ai dubbi esistenziali e metafisici. A ciò si aggiunga che i politici di professione sono in ritirata, per convenienza tattica di fronte al rischio che prima o poi qualcuno venga a chiedergli conto di quella che si annuncia come una Caporetto sanitaria. Così, in questa fase la scena è tutta per loro, i nuovi guru della comunità italiana al tempo del coronavirus.

Senonché, accade che un punto di vista specialistico, qual è quello da cui muove la loro osservazione, per un effetto di inconsapevole “contagio mediatico” sia diventato l’angolo visuale dell’opinione pubblica. Ci siamo convinti, classe dirigente e cittadini, che l’ultima parola su tutte le questioni della nostra vita spetti a loro. Se riaprire le fabbriche, le scuole, gli uffici, il campionato di calcio e molte altre cose non ci pare più una questione da affidare alla responsabilità politica di una democrazia, ma piuttosto al via libera del comitato tecnico scientifico, un organismo che è via via venuto assumendo una sacralità sacerdotale, una sorta di sinedrio incontestabile che delibera su tutti gli aspetti della nostra vita, in nome di un’inedita assolutezza scientifica. La gamba tesa di Giovanni Rezza al calcio non è un incidente di percorso. Ma il sintomo di un’invasione di campo ben più ampia. Al giornalista della Gazzetta dello Sport, che gli chiede se il calcio possa ripartire con i test preventivi di negatività al virus, il direttore scientifico dello Spallanzani, Luigi Ippoliti, risponde che «non sarebbe etico farli ogni pochi giorni agli atleti» e che «chi consigliasse questo alle istituzioni sportive sarebbe un incolto e un parolaio spudorato».

Un monito apparentemente nobile e coraggioso, capace di strappare l’applauso, ma che in realtà elude del tutto il merito della domanda. Che era un altro: in una fase due che si aprirà dal 4 maggio in poi, e che vedrà estendere i tamponi e i test sierologici a una fascia ben più ampia della popolazione, è immaginabile che un calciatore professionista, al pari di un medico o di un operaio della nettezza urbana, si sottoponga a una verifica di negatività, a spese del club, e al fine di garantire la sicurezza della sua prestazione? Sì, è immaginabile, è possibile, è doveroso ed è giusto: lo hanno stabilito ieri gli esperti della commissione medico-scientifica della Federazione italiana gioco calcio, che si appresta a chiedere al governo la ripresa degli allenamenti.

Siamo stati i primi a censurare la fuga di Ronaldo dalla quarantena, indebitamente autorizzata grazie a un tampone negativo eseguito dai medici della Juve. Perché era un inaccettabile privilegio e una forzatura delle regole in tempi di lockdown. Altro è un accertamento diagnostico preventivo, necessario a garantire alla più grande fabbrica di emozioni del Paese di provare a ripartire nella fase nuova che si apre. Ma la differenza etica sfugge, se di etica si mette a sdottoreggiare un virologo.


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