Umanizzare il calcio con la musica
Dal Lago di Como alla Sicilia: il tour "Formoso Therapy show" da Lecco, da dove è partito la scorsa estate, arriverà a Barcellona Pozzo di Gotto (in provincia di Messina) la prossima primavera. Uno spettacolo che è una cura: si canta, si ride, si riflette su se stessi, ci si ascolta e accoglie. Il dottor Adriano Formoso è psicoterapeuta, omeopata, naturopata, cantautore e psicologo dello sport. Inventore della neuropsicofonia, un approccio terapeutico che unisce musica, psicologia e neuroscienze. Non si tratta di musicoterapia tradizionale, poiché si concentra sulla creazione di reazioni psico-neuro-fisiologiche specifiche attraverso un approccio scientifico. Da tutto questo, è nato lo show che Formoso porta in giro per l'Italia.
Lei definisce il Formoso Therapy Show un "evento scientifico e artistico nel quale lo spettatore diventa protagonista e lo psicoterapeuta diventa anche artista musicale", insomma cos'è il suo spettacolo?
"Intanto, tutto è iniziato con l'incontro con un vecchio discografico che mi ha detto che non potevo lasciare il mio metodo solo ai pazienti. E così è nata l'idea. Tra un brano musicale e un altro, spieghiamo alle persone tutto il percorso della vita. L'obiettivo è rinascere genitori di se stessi. Non si può riavvolgere il passato ma si può rileggere la propria storia. Facciamo anche degli esercizi. Si ride, si riflette e ci si commuove".
Le canzoni sono sue, lei le scrive e le compone con musiche che sono la base della neuropiscofonia. Si sente più cantautore o psicologo?
"Ho sempre suonato, prima per mantenermi gli studi, poi per ricerca, quella musicale e scientifica si muove sullo stesso piano. La neuropsicofonia è la relazione tra frequenza e suono. Io sono condizionato dalla contaminazione terapeutica. Sono stato attratto dal prendermi cura dell'individuo. La nascita è un atto fondamentale: come nasci è l'epilogo. C'è infatti anche uno spazio dedicato all'arrivo al mondo, perché aiuto le donne a partorire con la musica. Tutto quello che siamo parte da lì".
Lei è stato anche psicologo del calcio.
"Sì col Cosenza e ho avuto una collaborazione con Petkovic ai tempi della Lazio. Lui mi diceva "devi farli vincere prima di cominciare, negli spogliatoi".
Come si applica il suo metodo allo sport?
"Si deve mettere l'uomo al centro del gioco. Invece si guarda più alla prestazione e si perde di vista la persona. Ma, mente, corpo, emozioni si muovono assieme. La neuropsicofonia è fatta di esercizi: per esempio mettersi tutti a terra con le cuffie entrando in uno stato quasi di trance; oppure tirare la palla senza guardare per sviluppare il processo pscodinamico per la memoria. Con la musica lavoriamo sulla dopamina che è la ricompensa per quello che si dà. L'atleta va caricato, ma deve anche fidarsi e deve sapere che darà, o sta dando, il massimo e dove non riesce è perché è oltre le sue possibilità. È una questione di visione ma anche di fede laica. Credere in ciò che muove le nostre iniziative".
Gli alteti prima di una gara spesso li si vede con le cuffie, cercano concentrazione o isolamento dal resto per pensare solo alla sfida che li attende, considera l'uso della sua musica uno strumento da pre-gara?
"Il mio metodo va usato in ogni fase, sia prima che dopo. Nel dopo per esempio aiuta a togliere le pressioni, ad abbassare il cortisolo".
Che differenza c'è con un mental coach?
"Il mental coach è un motivatore e usa lo stesso sistema per tutti. Ma bisogna avere un approccio psico-clinico per capire un determinato atleta. Ogni individuo è diverso dall'altro".
Ha fatto bene Larissa Iapichino a rinunciare al suo mental coach?
"Sì, ha fatto bene. Se una persona, ancor più che un aleta, è in difficoltà, non basta motivarlo, perché crea ancora più pressione. E si ritrova a dover rispondere a un altro carico di aspettative. La motivazione fine a se stessa può diventare un peso".
Segue il tennis? Che ne pensa di Sinner?
"Lo seguo, certo. Sono molto affezionato a Sinner. Quando fa le interviste osservo la fisognomica, il movimento oculare, comunica il carico di fatica e responsabilità. È un ragazzo che ha sempre dovuto restituire, fin da quando aiutava ai tavoli. Jannik è geniale, ma lo spronerei a capire. Ha una tristezza negli occhi. Quando è morta la zia, quel lutto pesante si è trasferito in fatica nel corpo. Da una emozione puoi procurarti uno strappo, un affaticamento".
E Musetti?
"È un ragazzo a cui non piace ferire gli altri e alla fine ferisce se stesso. Mentre Sinner la rabbia la sa sfogare. Musetti vive il tennis più come un'arte che come una battaglia. È raffinato e creativo, ha oscillazioni interiori. Quando è libero, il suo tennis vola. Su di lui farei un lavoro per insegnargli il proprio istinto. Deve imparare a sentire non a controllare, e ad armonizzare il suo talento. Deve capire che il campo è una tela e la racchetta è un pennello. Musetti mi ricorda Del Piero. Pinturicchio..."
E nel calcio il metodo Formoso cosa farebbe?
"È una terapia d'urto. Insegna al "voglio, posso, comando". Una formazione continua farebbe bene al calcio, che è uno sport di relazione e socializzazione. Dove per compredere l'altro bisogna comprendere come si capisce l'altro. Ed è ciò che deve fare un bravo allenatore: avere uno sguardo bonaccione perché è la dimensione umana che conta".
Parliamo di allenatori, allora. Conte pronto a mollare la squadra. O Gasperini che prende la Roma, quasi così com'era, e la porta in testa alla classifica, mentre l'Atalanta senza di lui crolla...
"Conte è uno schietto, diretto, uno che parla senza giri di parole. Gasperini invece è un grande psicologo del calcio, che è metafora della vita: si vince quando si gioca insieme. Come era il Pioli del Milan. L'allenatore è scultore di personalità, come nella vita non si cresce con chi ti conosce ma con chi ti comprende; non infonde solo schemi ma una identità; sa gestire le frustrazioni e sa che un errore non è un fallimento, semmai è un aiuto prezioso per capire dove ci sta portando".
Lei è tifoso juventino, segue il campionato?
"Sì certo, guardo tutto, non solo le partite, fin dal tunnel osservo come i calciatori si guardano tra di loro, come alcuni famosi ignorano gli arbitri giovani. Tante dinamiche che andrebbero affrontate per rendere più vicino il calcio: per umanizzarlo".
