Basket, Crespi: «Vi racconto la mia pallacanestro "speciale"»
Paris, Texas? No: Austin, Texas. Marco Crespi risponde al telefono dalla città dove è cresciuto Stevie Ray Vaughan, e il suo tono di voce vibra di passione come solo la chitarra del compianto chitarrista sapeva fare. Il coach sta per tornare in Italia dopo una settimana trascorsa alla corte degli Spurs campioni NBA: quasi non si percepisce dalle sue parole la delusione per l’esonero a Vitoria; si coinvolge invece tutto il suo entusiasmo per il libro scritto insieme con Massimo Basile, appena pubblicato. «Sta vendendo benissimo», dice orgoglioso.
Che un allenatore di basket scriva un libro non è più una novità; che lo faccia descrivendo invece le proprie emozioni attraverso la storia della stagione scorsa, quella che vide la sua Siena sfiorare lo scudetto per poi scomparire, è qualcosa di inedito.
Crespi, perché ha deciso di pubblicare «#somethingdifferent»
«E’ bello scrivere in generale. Lo è ancor di più quando si vive una storia assolutamente differente da tutte le altre. Volevo fermare queste sensazioni e raccontarle. Massimo Basile mi ha spinto e aiutato farlo»
Cosa troverà il lettore in «#somethingdifferent»?
«Il libro parla del mio modo di vivere il basket, della stagione passata, difficile per tanti motivi, soprattutto di cronaca (la Mens Sana è stata messa in liquidazione ed estromessa dalla A, oggi è rinata in B, ndr.). Però, anche in questo contesto si può vivere in modo diverso. Già quando avevo 15 anni pensavo di fare l'allenatore intendendo il basket come un gruppo di persone che lavorano assieme: fissando degli obiettivi comuni si può essere, insieme, una piccola democrazia
In che modo l'anno da head coach a Siena l’ha cambiata?
«Ho sempre sognato un campionato come quello durante il quale, grazie al lavoro comune, potesse accadere ciò che alla fine è accaduto. Il rendimento della squadra è cresciuto giorno dopo giorno da ogni punto di vista. E tutto in una città dove la gente riconosce la tua passione per il basket e la ricambia con affetto. L’anno a SIena mi ha dato una serenità totale: mi ha fatto capire che il mio modo di essere era stato riconosciuto e apprezzato».
Chi è il Crespi? Quello che si agita come un ossesso durante la partita, o il tecnico che durante i time out si rivolge con calma ai propri giocatori?
»L'immaginario si ferma solo ai fotogrammi. Io non so
fingere: sono vero e non recito in panchina. Voglio essere sempre me stesso. Sia durante la partita, sia quando parlo di sensazioni e lacrime».
È stata però un’ esperienza stressante a livello umano: quali sono state le conseguenze?
«Il lavoro di allenatore è sempre difficile, ma quando vedi che chi è con te crede a quello che sta facendo, diventa tutto bello. Una gioia».
Dalla finale scudetto persa contro Milano all'esonero a Vittoria: il basket non ha logiche?
«Purtroppo la pallacanestro non ha logiche: ed è solo una piccola parte del mondo normale, che di logiche ne ha molto poche» .
Cosa le ha insegnato l'esperienza in Spagna?
«Che bisogna essere sempre molto esigenti. Ed alcune volte non essere troppo aziendalisti...»
Come cancellare lo sterotipo dell’allenatore di basket che sa parlare solo di pallacanestro?
«Un coach non è quello che fa un cambio giusto o sbagliato durante una partita: è uno che deve dare motivazioni, dare dei ruoli definiti. Deve fare in modo che ognuno facente parte del gruppo si senta a proprio agio»
Il livello del basket italiano per noi è molto scaduto: lei è d'accordo?
«No, non penso che il livello sia basso. Dire che gli americani sono scarsi, e che bisogna fare delle
regole ad hoc per far giocare gli italiani è a mio avviso un modo superficiale di affrontare la questione. Prendiamo ad esempio quello che succede in Germania, dove il campionato ha fatto tanti progressi: vi sono giocatori che non sono assolutamente migliori di quelli attualmente in Italia. Ma lì il prodotto viene venduto con piacere. È il modo in cui vendi il prodotto che fa la differenza: da noi mancano le emozioni, non certo il livello tecnico».
Come si rimettera' in gioco dopo l'esperienza negativa a Vittoria?
«Io non mi rimetto in gioco: ho 52 anni ma anche l'energia di un ragazzo di 25. Sono disponibile ad allenare e pensare al basket sempre con entusiasmo. Sono stato una settimana a San Antonio, ospite degli Spurs. E ho toccato con mano la maniera in cui si può fare pallacanestro nella NBA: il loro gioco non è fatto solo di «1 contro 1», quanto piuttosto un grande lavoro di squadra, sia in attacco che in difesa. E poi la mentalità: nel giorno in cui San Antonio affrontava i Lakers, alle 8.30 del mattino c'erano dei giocatori che stavano allenandosi sulla tecnica individuale. E questo non succede davvero in nessuna squadra di Eurolega....»
