L'Italia delle donne del basket: un'oasi nuova nello sport

Il nuovo coach, Crespi, e una filosofia fatta di sogno e sfida. Un gruppo di ragazze di talento pronte a cambiare modo di vedere lo sport. Sta nascendo, forse, qualcosa di nuovo. Non solo per il basket.
L'Italia delle donne del basket: un'oasi nuova nello sport
Massimo Basile
9 min

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ROMA - Quando ad agosto il suo incarico divenne ufficiale, chiamò sul cellulare, una per una, tutte le giocatrici della Nazionale. «Mi presento, sono Marco Crespi, il nuovo ct». Una rimase, per un attimo, in silenzio. Poi disse: «E' la prima volta che un coach mi chiama per presentarsi». Un'altra confessò: «Mi scusi, ma non l'ho mai sentita nominare». Tre mesi dopo sono tutte attorno a quest'uomo con l'aria svelta, barba da abate, l'energia visionaria di un nuovo Steve Jobs, a provare e riprovare i giochi cinque contro zero, con scarico dentro fuori, sotto canestro. Lo ascoltano attente, qualcuna accenna un sorriso, mentre il ct continua a spiegare la sua idea di basket veloce, condendola di messaggi positivi e ritmando con un "oppa oppa oppa", il gioco per liberare la giocatrice sotto canestro.

Nella palestra del Coni al centro federale dell'Acqua Acetosa, è l'ultimo giorno di raduno prima della partenza per la Macedonia dove l'Italia comincerà la sua avventura per andare agli Europei del 2019, trofeo che non vinciamo dal 1938: primo impegno a Skopje, sabato 11 novembre, contro la Macedonia, poi sfida alla Croazia, mercoledì 15, a San Martino di Lupari (Padova). Ma la vigilia di un debutto racconta molto più di un fatto puramente sportivo: qui si sperimenta un modo nuovo di fare basket, in cui non si cercano di coprire i limiti, ma si esaltano le qualità, non ci si nasconde dietro il classico bolero di passaggi, ma si punta a canestro. Quest'uomo in tuta passa rapido da un punto all'altro dell'area per spiegare i movimenti di arresto, blocco, con l'entusiasmo di un coach che sembra più l'invitato d'onore di un clinic che un allenatore chiamato al lavoro quotidiano. Attorno, i collaboratori dello staff, dentro un impianto luminoso e moderno che per un attimo ti fa pensare di essere in una palestra americana. Forse, non a caso: il basket è lo sport più americano di tutti, forse troppo per noi, in cui si tende al cielo, si cerca un continuo uno contro uno, il senso della sfida.

Crespi, 55 anni, ex allenatore di A e di Eurolega, in Italia e Spagna, ha l'aria di uno che - sostenuto dalla Federazione - sta cercando di costruire una nuova narrazione nello sport di squadra, a cominciare dalle motivazioni. ll suo è un continuo invito a sognare, ad allargare i propri confini. Nel gruppo whatsapp della squadra il coach ha inviato una clip di tre minuti su alcuni dettagli di un allenamento, che si concludeva con l'immagine di Gene Wilder, come Frankenstein junior, che solleva il capo e urla "si può fareeee", prima del tuono definitivo. «Dopo il primo raduno di Ragusa - racconta - ho chiesto alle ragazze di inviarmi una foto per whatsapp per dirmi che cosa avessero provato. Sono arrivate immagini straordinarie, di costruzioni architettoniche, elaborazioni ambiziose, una lampadina che abbatte un muro...». Una comunicazione rock non può bastare per conquistare un gruppo di giocatrici professioniste. Serve anche il basket giocato. «Il coach ci ha insegnato un movimento di difesa sul pick and roll - confessa Sabrina Cinili, 27 anni, 1,91, giocatrice della Saces Mapei Napoli - che in quattordici anni di basket non mi aveva mai spiegato nessuno. Mi sembra una persona fantastica».

La filosofia del ct è chiara: lavorare a un sogno. Inseguire sul parquet una piccola felicità. Migliorare un centimetro al giorno. Crespi non vuole costringere le giocatrici a seguire un gioco in cui soffrirebbero, ma esaltare le loro caratteristiche per offrire una risposta diversa. «Il canestro è alla stessa altezza per Le Bron James e per le nostre ragazze, non possiamo pensare di fare le stesse cose degli altri. Se abbiamo quattro piccole, giochiamo con loro e cerchiamo di rendere il nostro gioco più veloce, per far correre le avversarie. Golden State ha un sistema fatto di piccoli che, con il loro gioco, allargano il campo: non dobbiamo considerarlo impossibile, ma allo stesso tempo non possiamo pensare di copiarlo. Quel modello, però, ci dice che si possono creare opportunità nuove dagli elementi che hai». Il coach di Golden State, Steve Kerr, ha scritto una frase penetrante: “Passiamoci pure la palla, ma non dimentichiamo che l'obiettivo è andare a canestro". «Il basket - aggiunge Crespi - non deve essere solo passare, passare, passare, altrimenti diventa solo un extrapassare».

Il ct, come si capisce dal suo approccio, conosce bene il mondo Usa e ne è rimasto stregato. Poco dopo l'esonero dal Baskonia, venne chiamato per due settimane in Nba per seguire gli allenamenti. In Usa ritengono che un coach appena esonerato, proprio per la sua carica emotiva, abbia un periodo di tempo circoscritto in cui è fervido di osservazioni illuminanti. Da noi chi perde il posto è considerato uno straccio, lì una risorsa. Capite che differenza di visioni? Il ct è stato, di recente, ospite dei Brooklyn Nets, accolto come uno della famiglia. Il crispismo può creare qualcosa di importante, proprio partendo da uno sport popolare ma non di primissimo piano, e con la nazionale femminile, che ha qualità e aspettative, ma non lo stress di attenzione, e la presunzione, di quella maschile.

L'Italia delle ragazze può diventare il laboratorio per un'idea nuova, grazie anche alle sue fresche protagoniste, come Cecilia Zandalasini che, dopo gli ultimi Europei in cui è stata inserita nel quintetto ideale nonostante la nazionale fosse arrivata settima, è la giocatrice più ricercata per interviste e video. A soli 21 anni, Cecilia ha vissuto un'esperienza con i Minnesota Lynx, con cui ha vinto il titolo Wnba contro Los Angeles. «E' stato incredibile - racconta, a fine allenamento - nonostante fossi arrivata da poco e non parlassi bene inglese, mi hanno fatto sentire una di loro». Chi arriva da fuori è visto come risorsa, non come minaccia. Merito anche della coach, Cheryl Reeve: «E' tosta, ha in pugno la squadra e lancia sempre messaggi forti e coinvolgenti, anche in allenamento. Durante le partitelle ci chiedeva di esultare quando facevamo un canestro o una buona difesa e se non lo facevamo, fermava tutto». Su questo, in Italia, c'è molto da fare. «Da noi il mondo è piccolo e, a volte, presuntuoso», confessa.

Come italiani ci affermiamo nello sport a livello individuale, grazie alla dedizione, al sacrificio, alla determinazione. Come squadra fatichiamo, proprio perché - facendo un'equazione facile e imperfetta - fatichiamo come sistema Paese. Giovanni Malagò, presidente del Coni, lo ricorda nella visita alla squadra: «Quando parliamo, nella scherma, di fioretto o sciabola a squadre, in realtà sono prove individuali. In altri sport collettivi, invece, soffriamo. Voi avete la possibilità di lasciare un segno». Questa nazionale può far divertire, magari vincere, di sicuro ripensare l'idea di sport, portare un po' di cultura americana della sfida, di sogno, di sana competizione. Un altro mondo è possibile. Portare seriamente lo sport nelle scuole, come nel modello anglosassone o tedesco, sarebbe la soluzione, ma appare sfida troppo grande. «Non è nostra competenza - chiarisce Malagò - tocca al ministero dell'Istruzione. Noi facciamo già più di quello che ci viene chiesto». Anche qui manca il gioco di squadra. Ma potrebbero esserci altre soluzioni, come creare accademie federali in tutta Italia, dove formare squadre vere, allenare e migliorare tecnicamente i giovani e le giovani cestiste e magari affidare i cartellini a enti semipubblici: una volta ceduti gli atleti, reinvestire quei soldi in impianti pubblici. E accogliere giovani coach e arbitri americani, per cercare di innestare un po' di senso del gioco globale fatto di divertimento e leggerezza nei nostri parquet. Il modello di questa Italia azzurra può dare un segnale, ma non va lasciato solo.

Di sicuro, se c'è una piccola possibilità di cambiare la mentalità di un Paese all'ultimo posto in Europa per capacità di sognare, è proprio lo sport. Con un uomo visionario e un gruppo di ragazze che stanno conoscendo un'idea nuova di affrontare le cose, ogni volta che un pallone comincerà a rimbalzare sul parquet, una piccola chance di cambiamento potrà accendersi.


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