Del Piero a Veltroni: «Io come Baggio e Totti, il mio mito è Pessotto»

L'ex Juve: «Un po' di Capello, Lippi e Ancelotti. Sì, ora allenerei»
Walter Veltroni
4 min

ROMA - Del Piero è, secondo me, un finto freddo. E’ un timido, una persona riservata. Ma più intensa di quanto lasci trasparire. Ha costruito nel tempo un prestigio mondiale che si è fatto autorevolezza. E non solo come un calciatore fantastico da ricordare. Oggi anche come persona. Per quello che ha fatto, dopo e oltre il campo, per il modo in cui è uscito di scena, per la serenità con la quale guarda al gioco che gli ha dato tanto e che lui ha contribuito a rendere più bello, fantasioso, poetico.

Lei ora fa il commentatore a Sky. Di allenare non ha mai avuto voglia? «Tre anni fa avrei detto di no, senza dubbi. Ora ci ragiono. Lo sto analizzando. E’ un lavoro complesso, molto affascinante, che consente di vivere il calcio con una visione. Sia chiaro, non mi sono iscritto a nessun corso. Però se ieri avrei detto no senza alcuna esitazione, ora è per me motivo di riflessione».

Quali sono le doti che deve avere un buon allenatore? «Io ho lavorato, più a lungo, con tre grandi: Capello, Ancelotti, Lippi. Con Marcello abbiamo vinto tutto, insieme. In dieci anni scudetti, Champions, Intercontinentale e poi un mondiale. Un rapporto speciale. E mi sono convinto, vivendo con loro, che le doti essenziali siano una grande intelligenza, umiltà e una infinita pazienza» [...]

Mi mette in ordine di grandezza calcistica Maradona, Baggio, Platini, Pelè? «Allora: Pelè io non l’ho visto giocare. Anche se lui vide giocare me in una partita dell’Under 17 a Montecatini. Non ho visto neanche Maradona, se non in tv. Platini, per me che sono juventino da bambino, era un mito che camminava. Con Baggio ho giocato. Era un fuoriclasse, un giocatore e una persona di grande qualità».

Pensi che se io dovessi dire con quale di questi leggendari numeri dieci c’è, per lei, più somiglianza, direi proprio Baggio. Stessa timidezza, riservatezza. Ma stessa luce negli occhi, malinconica e intensa. E stessa poesia, nel giocare. Sbaglio? «No, non sbaglia affatto. Forse concepiamo il calcio allo stesso modo. E sono felice che, nella memoria sua come di tanti altri appassionati di calcio, i nostri nomi siano uniti da un ricordo dello stesso tipo». [...]

Con Totti che rapporto ha? «Un rapporto di grande stima. Non ci mandiamo gli sms tutti i giorni. Non siamo i tipi. Siamo molto diversi ma per certe cose del carattere molto simili. Le posso dire una cosa: entrambi avremmo voluto e dovuto giocare di più insieme, in nazionale». [...]

Chi è stato il collega al quale si è più affezionato e quale quello con cui ha avuto più conflitti? «Pessotto. E’ un mito. Una persona di una correttezza incredibile. Un uomo fatto di rispetto per gli altri, di dedizione. Ha qualità umane rare. Io sono un tipo chiuso, sto sulle mie, per timidezza. Ma per lui ho davvero grande affetto. Ho litigato con molti, in campo. Mi menavano mica poco. E poi dicevano che erano entrati sulla palla. Uno con cui non andavo d’accordo era Samuel. Ma all’ultima partita che abbiamo giocato ci siamo abbracciati e salutati con amicizia. Tanto per ricordarci che il calcio, in fondo, si chiama “ gioco del calcio».

Gianni Agnelli disse che se Baggio era Raffaello lei era Pinturicchio. Le pesò? «In primo luogo mi faccia dire che l’Avvocato era un’icona mondiale. Era un uomo di rara intelligenza e di fenomenale senso dell’umorismo. Capiva di calcio, come pochi, era tre passi avanti a tutti. Quanto a Pinturicchio le devo dire la verità. Quando lo disse la prima cosa che feci fu andare a cercare una enciclopedia. Poi studiai la figura del pittore. E pensai quello che penso oggi. Era una definizione super azzeccata per un ragazzo di talento di soli 21 anni, come ero allora».

Leggi l'articolo completo sull'edizione odierna del Corriere dello Sport-Stadio


© RIPRODUZIONE RISERVATA