Roberto Baggio, la Mina del pallone: un mito che resiste all'assenza

Da giorni decine di articoli, servizi radiotelevisivi e editoriali celebrano i 50 anni del calciatore più amato di sempre. Alle radici di un fenomeno unico, che oggi festeggia il compleanno
Roberto Baggio, la Mina del pallone: un mito che resiste all'assenza© LaPresse
Davide Palliggiano
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ROMA – Baggio è tutto e niente (per pochissimi), Baggio è arte e attimi di incompiutezza, punizioni abbaglianti, gol memorabili e altri sbagliati, sacro, profano e sociologia in un’unica combinazione. Perché se andate in giro per il mondo e dite che siete italiano, fidatevi, c’è sempre qualcuno che vi ricorderà Roberto Baggio, magari abbinandolo involontariamente a qualche altro esempio negativo dell’italianità: dall’Asia al Maghreb, dagli Stati Uniti all’Oceania, tutti, dai 25 anni in su, hanno visto le magie del Divin Codino.

Perché Roberto Baggio è stata l’icona di un calcio, quello italiano, che imperava negli anni ’90, e poco importa che abbia vinto tanti Palloni d’Oro quanti Owen, Papin o Sammer, che in finale di Coppa dei Campioni non ci sia mai arrivato, che quel maledetto Mondiale, a Pasadena, sia sfumato definitivamente per il suo calcio di rigore alle stelle (prima avevano sbagliato Massaro e Baresi).

Non ce ne frega nulla, perché ogni fuoriclasse ha i suoi crucci e perché l’ignoranza e l’invidia vanno sempre oltre l’arte, che non tutti riescono a cogliere. E se così non fosse, Maradona sarebbe un tossicodipendente che tutto sommato avrebbe vinto "solo" un paio di scudetti e un Mondiale, Platini un mezzo fallito incapace di portare la Francia sul tetto del mondo, Messi, sì ok, facile giocare con Xavi, Iniesta, Ronaldinho e via dicendo. E poi con l’Argentina cosa ha vinto? Totti? Poca roba. E il suo contributo in azzurro? Se vi ritrovate soltanto in una di queste parole, lasciate perdere, non andate oltre, non sprecate il vostro tempo. Siete delle brutte persone, calcisticamente parlando.

Roberto Baggio è stato accusato anche di essere privo di “cazzimma”, ma unanimemente riconosciuto anche come “privo di fortuna”. Quelle ginocchia fragili ci hanno privato del suo immenso talento per troppe partite, ma ci hanno fatto innamorare di lui ancor di più. Perché Baggio ha rappresentato anche le nostre debolezze, non ha mai detto una parola fuori di posto, se non quel “ma questo è matto”, rivolto a Sacchi a Usa ’94 o qualche altra parolina detta ad allenatori con cui non ha avuto un buon rapporto. Mai in pubblico, sempre in privato.

Gentiluomo con i piedi, nei fatti, nel dipingere e nel farsi da parte, come quando ha detto addio al calcio, nel teatro più importante del nostro pallone, o come quando dopo tre anni di Figc, si è dimesso in silenzio. Baggio siamo noi italiani, a volte un po’ tamarri (con quel discutibile codino), spesso geniali, a volte un po’ sfigati, ma con un grande orgoglio. Baggio ne fa 50, di cui molti vissuti intensamente, gli ultimi nell’ombra tanto inseguita, con pochi attimi di luce, ma che hanno fatto nascere in noi una tremenda malinconia. Auguri Roby, campione universale.


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