Gabrielli esclusivo: «Calcio e violenza, i club ci aiutino»

Il capo della Polizia in redazione: «Gli arbitri sono sotto assedio, passa un messaggio diseducativo. Ci sono società compiacenti coi violenti»
Gabrielli esclusivo: «Calcio e violenza, i club ci aiutino»
Alessandro Barbano
3 min

ROMA - La sicurezza negli stadi condivisa tra forze dell’ordine e società sportive. Un’idea che altrove è realtà. Un progetto per provarci anche in Italia, partendo dalla Lega Pro. E un’occasione per incontrare il capo della polizia, Franco Gabrielli, in visita al Corriere dello Sport-Stadio. E parlare con lui di calcio, e non solo. Iniziando da quella Juve che gli sta a cuore, alla vigilia di uno scudetto dolce-amaro. Lui vorrebbe glissare, e ci prova anche: «Per fortuna – dice – vivo queste cose non una certa levità».

Ma davvero?
«Va bene, ammetto che anche per me questa Champions è diventata un’ossessione. Ero a Manchester nel 2003. Poi a Cardiff nel 2017. E naturalmente a Torino».

E che idea s‘è fatto? È un incidente di percorso o la fine di un ciclo?
«Non lo so. Ma ho visto la distanza abissale tra il calcio italiano e la grande scuola olandese. Ho capito che non siamo né l’Ajax dei giovani gioielli, né una di quelle corazzate che comprano chi vogliono».

E Ronaldo dove lo mette?
«Ronaldo è un grande campione. Ma anche la prova che noi possiamo prendere i top player solo in una fase discendente della loro avventura sportiva». [...]

Per esempio impedire che i calciatori si sfidino esponendo alle curve la divisa degli avversari?
«Non è stato un bel vedere, quello di Kessie e Bakayoko. Ma anche le reazioni al loro gesto mi sono parse abnormi. Perché poi, restano due ragazzi. La loro goliardia irridente è stata, certo, una provocazione esagerata. Ma i problemi veri sono altri».

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Le botte in campo a fine partita, per esempio?
«Certo. Ma non solo quelle. Non accetto che si assedi l’arbitro con atteggiamenti minacciosi, solo perché non si condivide una sua decisione. È un modo di non rispettare le regole e chi le incarna».

Un insulto all’autorità?
«Sì. È un messaggio simbolico diseducativo. A una platea non propriamente oxfordiana può fare un certo effetto. Assai più della maglia dell’avversario esposta al pubblico».

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