Capello si racconta a Cucci: il calcio che vince

Si conoscono da quasi cinquant’anni, Pantelleria la loro isola “privata”. Uno dei tanti incontri diventa un’intervista sullo sport e sulla vita
Capello si racconta a Cucci: il calcio che vince© LAPRESSE
Italo Cucci
3 min
Tagscalcio

Fabio, scusami, mi presento con il capo cosparso di cenere... (Un inizio particolare, criptico, potevo aspettarmi che Capello mi chiedesse se per caso ero stato vicino a un vulcano agitato, qui a Pantelleria ne abbiamo due sempre accesi...).

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Volevo dirti che ti ho fatto un torto e me ne pento: il mio giornale ha fatto un’inchiesta chiedendo ad alcuni giornalisti reputé i nomi dei più grandi calciatori italiani di mezzo secolo e mi sono dimenticato di te... Onestamente, non è una scusa ma ti vedo sempre, in tivù, ti incontro qui nell’Isola e non mi è venuto in mente di archiviarti.

«Chi ha vinto?».

Gigi Riva.

«E tu chi hai votato?».

Gianni Rivera. 

«Lo voto anch’io. Pallone d’oro... Coppe dei Campioni, scudetti, Nazionale... Ha vinto tutto... Poi metto Gigi, d’accordo, e Zoff, Paolo Maldini, Baggio... Massì, ho fatto qualcosa anch’io, ho vinto scudetti con due club, Juve e Milan, una Coppa Italia con la Roma, dico da giocatore... qualcosa in Nazionale».

Qualcosa?! Fammi dire: 14 novembre 1973, a Wembley, Inghilterra-Italia, entriamo allo stadio che siamo tutti camerieri, noi italiani, all’86 fai un gol storico, vinciamo e siamo tutti gransignori, mentre loro cantano “We Are a Lot of Rubbish”, siamo un mucchio di spazzatura... Indimenticabile. 

(Ho messo una pezza alla dimenticanza...) «Quel gol mi ha procurato il grande rispetto degli inglesi... Anni dopo, l’89 o il ’90, m’invitano a una partita della Nazionale, nel vecchio Wembley, mi danno due biglietti per la tribuna d’onore, incontro Francis, quello della Samp, ricordi? un gran bravo ragazzo, gliene regalo uno... il giorno dopo prendo posto allo stadio insieme a una vipperia straordinaria e a pochi minuti dall’inizio nella poltrona accanto a me viene a sedersi non lui ma uno sciagurato in pantaloni corti, con una maglietta dipinta coi segni dell’Inghilterra, una corona in testa e Dio come gridava, saltava... Quelli che m’avevano invitato, convinti: Capello s’è venduto il biglietto...».

(Bene, abbiamo fatto un po’ di melina, non sono più il rompi di una volta e lui, devo dirlo, non censura, non chiede “questo no”; è l’aria di Pantelleria, ch’è casa sua, e mia...). 

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