Per favore, non chiamateli test match

Le partite estive di calcio che riempiono di soldi i club e fanno imbufalire gli allenatori sono una cosa diversa: questione di linguaggio e soprattutto di mentalità
Per favore, non chiamateli test match© Getty Images
Marco Evangelisti
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Forse esageriamo. Forse è paranoico prendere un’improprietà linguistica e soffiarci dentro fino a renderla simbolo, frutto e avatar di un modo d’essere, di uno spirito nazionale, sintomo del ritardo di progresso che oggi affligge l’economia e il sociale in Italia. Però quando queste partite di cartapesta, di cui Sarri stesso dice che non fanno bilancio tecnico ma solo ruggine estiva, che servono a riempire i pomeriggi televisivi e a far parare tre rigori a Buffon e a far imbestialire Conte come se ce ne fosse bisogno, vengono definite test match allora qualcosa comincia a pruderci nello stomaco.

La nostra pelle indurita di vecchi sportivi s’increspa e la visione del mondo s’incupisce. Un test match è diverso. Un test match nel rugby e più in generale negli sport di squadra di tradizione anglosassone è una partita ufficiale tra Nazionali, disputata al di fuori di tornei codificati. Non assegna punti (in realtà sì, nelle classifiche mondiali, ma non stiamo a sottilizzare), non ce n’è alcun bisogno. Di questa stagione il calcio gioca per accumulare soldi facili e per preparare la stagione che ancora deve cominciare davvero. Nei test match genuini non si prepara niente. Non fanno parte di un percorso, sono un punto d’arrivo: vediamo chi è più forte, qui e ora. Battiamo gli avversari e il risultato resta nella storia, nelle statistiche e dentro di noi. Se perdiamo, idem.

Stabilito questo, cancelliamo la parola match. Concentriamoci sul test. Test significa esame. E le cose diventano serie. L’esame è il momento in cui si misura la preparazione che abbiamo assimilato. Un punto d’arrivo, proprio così: in cui si tirano le somme di un pezzo della propria vita. Per la mentalità anglosassone il percorso educativo fa parte integrante dell’essere adulti. Non è un limbo da cui uscire il più in fretta possibile. Invece è un terreno da coltivare e sul quale fissare un’impronta. Allontanandosi dalla propria casa d’origine, per di più. E il test ti mette alla prova. Vale di per sé e una volta superato chiude una fase dell’esistenza. In seguito troverai altri avversari, dovrai affrontare prove differenti. L’hai già fatto, puoi riuscirci di nuovo. Qui da noi la scuola è spesso considerata un impegno da portare a termine con il minor fastidio possibile, l’esame un ostacolo da scavalcare in qualunque modo, un cunicolo soffocante che porta alla vita autentica. La quale sta oltre, velata dalla burocrazia. Come se, invece di vivere, per un bel periodo stessimo sempre a prepararci per qualcos’altro.

Attraversiamo tutta una serie di test match, anzi no, di partite estive in cui non conta chi vince e chi perde, tanto non si assegnano punti. Ecco tutto. Per noi il test è una cosa che non va vissuta bensì semplicemente superata. Per il resto del mondo è altro, ti mette a fuoco. Un test match fa esultare e piangere e fa dimettere gli allenatori. Lo traduciamo male perché lo pensiamo male. Ma forse esageriamo. E’ solo sport, è solo linguaggio, cioè cultura. Nulla di rilevante. Pensiamo alla salute.


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