Riccardo Silva: "Vinco al Tas e rivoluziono il calcio Usa"

Un italiano, proprietario del Miami Fc, ha sfidato la lega americana. Si è rivolto al tribunale dello Sport di Losanna per ottenere anche nella Mls promozioni e retrocessioni: "Mi hanno offerto di entrare pagando. Ho detto no: è come comprare una partita"
Riccardo Silva: "Vinco al Tas e rivoluziono il calcio Usa"
Massimo Basile
6 min

Mentre Rocco Commisso lascia lo stadio deluso, i giocatori del Miami Fc sollevano il trofeo di campioni Npsl, il terzo campionato nazionale. Hanno battuto i Cosmos 3-1 davanti a migliaia di spettatori, in uno stadio di football di Long Island. Musica, coriandoli luccicanti, la gente applaude sportivamente. Eppure se c’è qualcosa di più antiamericano è qui, alla periferia di New York, su un campo costruito in mezzo al niente. Nella terra del grande sogno, non si sogna. Nel Paese dove da un dollaro puoi costruire un miliardo, il dollaro non cresce di un centesimo. I giocatori di Miami da due anni sollevano il trofeo di campioni d’America ma poi restano lì. Non ci sono promozioni e retrocessioni. Solo un limbo perenne. La prossima stagione, come nel Giorno della marmotta, torneranno a rivivere lo stesso campionato di sempre e, forse, a rivincerlo e a celebrarlo con la stessa musica e i coriandoli. «Spero che un giorno tutto questo finirà. Se il Tas di Losanna ci darà ragione, cambieremo la storia del calcio Usa».

Riccardo Silva è il proprietario di Miami. Milanese, milanista, studi alla Bocconi, voce brillante, concetti veloci, a 49 anni Silva sta portando avanti una battaglia legale a cui guardano trecento società sportive americane, tra cui i Cosmos di Commisso, e milioni di tifosi. Obiettivo: ottenere dalla Fifa l’obbligo di adeguare la formula dei campionati americani a quelli di tutti gli altri Paesi affiliati. In Usa la Mls, la Major League Soccer, è un circolo esclusivo: si entra pagando almeno cento milioni di dollari, che vanno ai proprietari dei club. «Mi hanno offerto la possibilità di entrare - spiega Silva - ma ho detto no, non per una questione economica, ma di principio. E’ la negazione dello spirito sportivo. Pagare per entrare nella Major è come comprarsi una partita».

Nel Paese delle opportunità il calcio è un sistema monarchico in mano a un uomo di 61 anni cresciuto nel Queens: Don Garber. Don è un concentrato di conflitti d’interesse da far impallidire persino l’Italia: commissioner della Mls, presidente della società di marketing del campionato e membro del board dei dirigenti della federazione. Garber è il Re Sole: lui decide se puoi entrare o guardare. Se ti accetta, paghi milioni di dollari. Il New York Times gli ha dedicato una pagina celebrativa per i vent’anni di presidenza in cui la Mls è passata da dieci a ventiquattro squadre. Ma il volto di Don è quello del falso mito americano: le partite sono noiose, gli stadi semivuoti, Ibrahimovic sbadiglia, gli ascolti tv hanno percentuali da microbo, l’account Twitter ha 3,3 milioni di followers contro i 28,3 della Nba, gli Usa non si sono neanche qualificati agli ultimi Mondiali. E questo nonostante sia primo al mondo per benessere e strutture sportive e conti su 24 milioni di praticanti, più dell’intera popolazione dell’Olanda. A metà stagione, senza l’incertezza della retrocessione, per chi è tagliato fuori dai playoff il campionato si sgonfia. Eppure il Re Sole non è in discussione. Solo una cosa può spodestarlo: la battaglia al Tribunale Arbitrale dello Sport portata avanti da Silva e dal proprietario dei Kingston Stockade Fc di New York, Dennis Crowley. La sentenza è attesa nelle prossime settimane, forse entro l’estate. «Una volta il presidente della Fifa, Gianni Infantino, mi disse che avevo ragione ma serviva diplomazia. L’articolo 9,2 dello statuto Fifa stabilisce il principio del merito sportivo per accedere ai campionati. Vale per tutte le federazioni, tranne quella Usa. Fosse successo in Turkmenistan, li avrebbero espulsi».

Anche basket e football non prevedono promozioni, eppure sono formule di successo.
«Perché hanno una storia diversa, rappresentano il meglio globale: nella Nba giocano i primi duecento giocatori al mondo, nella Mls non c’è un giocatore tra i primi mille al mondo».
 

La Major, invece, è un club esclusivo in cui nessuno vuole entrare.
«Il problema degli americani è che guardano al marketing, non si preoccupano della qualità del gioco, mentre noi in Europa facciamo l’opposto. Due anni fa il mio Miami, nella coppa americana, aperta a tutte le categorie, arrivò ai quarti. Battemmo due squadre di Mls: l’Orlando di Kakà 3-1, e l’Atlanta United 3-2. Però continuiamo a restare in terza serie, noi come i Cosmos di Rocco. Assurdo».
 

Lei come cambierebbe la formula?
«Posso capire che chi paga centinaia di milioni non voglia mettere tutto a rischio retrocedendo, ma allora troviamo un sistema che tuteli i club, tipo i ‘paracadute’ per chi retrocede, come in Italia».
 

Ne ha parlato?
«Con Boston, l’altra Miami, Orlando. Tutti entusiasti, tutti a dire sì, certo».
 

E poi?
«Poi niente».
 

Garber.
«Lui e la federazione. Un muro di gomma. Stoppano ogni iniziativa. Una gestione da padre padrone. E il livello continua a essere ridicolo».
 

Se la sente Carlo Ancelotti: dicono che Beckham vorrebbe portarlo a Miami.?
«Ma si figuri. Conosco Carlo. Quando era fermo, a Vancouver, mi disse che la Mls, a un certo punto della stagione, senza niente in gioco, diventava era inguardabile. Pirlo diceva lo stesso. E a me dispiace perché amo gli Stati Uniti, il rispetto delle regole…».
 

L’unica speranza è Losanna. A che punto siete?
«Abbiamo finito tutte le audizioni. Attendiamo la sentenza».?
 

Dovesse perdere?
«L’accetterò, ma resta l’assurdità. Una startup dopo due-tre anni che non funziona chiude, qui si va avanti da ventitré sempre con le stesse persone e con una formula in declino. Non è molto americano».
 

Se invece dovesse vincere?
«Allora ci divertiremmo, noi e i tifosi. E ognuno lotterebbe per un sogno. Questo, sì, molto americano».
 


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