L'Inter, Conte, la libertà di critica e il metro di Mao Zedong

L'Inter, Conte, la libertà di critica e il metro di Mao Zedong
Alessandro Barbano
7 min

Caro Direttore, mi chiedo e ti chiedo che cosa stia accadendo attorno a noi. Due società, Roma e Milan, cacciano i nostri cronisti dai loro centri sportivi, invitando gli altri club a fare altrettanto. Organizzano una campagna d’odio nei confronti del Corriere dello Sport, prendendo a pretesto un titolo, «Black Friday», discutibile e criticabile come tutto ciò che facciamo, ma certamente non razzista, come dimostra il coro generale di solidarietà che da ogni pulpito civile e istituzionale si alza a nostra difesa. Si coprono di ridicolo, loro che il razzismo per anni l’hanno ignorato, lanciandosi in una fatwa contro un giornale che solo negli ultimi tre mesi ha scritto su questo tema in prima pagina sette editoriali, deplorando ora l’orrore dei cori, ora la vergogna delle orecchie tappate di allenatori, dirigenti e giudice sportivo, ora le gaffe di presidenti e vertici istituzionali. Poi, sabato, un’altra società, l’Inter, annulla una conferenza stampa, perché – spiega in una nota – «dal Corriere dello Sport è stata pubblicata una lettera off ensiva nei confronti del nostro allenatore, giustificando l’aggressione nel commento».

Potrei, caro Direttore, darmi la spiegazione più semplice. E dire che un certo potere non tollera critiche. Soprattutto quando maschera, dietro la falsa emancipazione del denaro, le logiche arcaiche di una classe dirigente fatta ancora per metà di improbabili patriarchi e per metà di mediocri cortigiani. Avrei buoni motivi per considerare queste gesta una rappresaglia contro chi ha osato denudare il re. La Roma, il Milan e l’Inter sono state in questi mesi oggetto di critiche severe da parte nostra. Non abbiamo fatto sconti alla disastrosa campagna acquisti dell’era Monchi e alla pessima gestione dei casi Totti e De Rossi, non abbiamo mancato di segnalare l’assenza di James Pallotta, l’incerta sorte dei suoi interessi speculativi, il valzer di manager, senza né portafoglio né delega, che si avvicendavano a corte. Allo stesso modo abbiamo mostrato la maldestra mano con cui Maldini e Boban hanno bruciato in un solo giorno due allenatori: quando, dopo aver esonerato «de facto» Giampaolo, hanno visto evaporare l’arrivo di Spalletti, ripiegando poi su Pioli con gli incerti risultati che sono sotto gli occhi di tutti.

Ma i giudizi più severi sono stati proprio per la dirigenza nerazzurra. La proscrizione di Mauro Icardi, «regalato» al Paris Saint-Germain dove sta facendo sfracelli, ci è parsa da subito uno spreco inaudito. Non ci hanno convinto le parole del presidente Zhang: «È un grande giocatore, una brava persona e ha aiutato il club con molti gol: troveremo una buona soluzione per lui». Se il giudizio era così lusinghiero, perché sacrificare l’attaccante in nome dello strisciante sessismo di chi non tollerava l’esuberanza della moglie Wanda? Anche questo abbiamo scritto. Noi che sappiamo quanto le discriminazioni più subdole si nascondano dietro le migliori intenzioni.

Oggi l’Inter vorrebbe ricordarci, con un gesto plateale e simbolico, che va «garantito il rispetto delle persone». Non ebbe la stessa preoccupazione quando gli ultrà della curva Nord spiegarono con parole «molto persuasive» a Lukaku che i buu contro di lui non erano da considerarsi razzisti, perché il razzismo in Italia non esiste. Quel giorno il Corriere dello Sport-Stadio invocò rispetto, ma l’Inter tacque.

Stavolta invece grida alla lesa maestà di fronte all’aggettivo con cui un tifoso apostrofa Antonio Conte, in una lettera pubblicata sulla rubrica Post da Italo Cucci. «Esaurito» è un’espressione molto colorita, certamente al limite del diritto di critica, ma in linea con quell’ipertrofica delle emozioni che connota il lessico calcistico. E che, in senso contrario, ci fa definire «Eroica» la squadra che si aggiudica una Coppa o un Mondiale, ben sapendo che, a voler stare alla lettera, non c’è nulla di eroico nella vittoria di una partita di calcio. Di più, quella frase non viene dalla penna del giornalista, ma dalla licenza di un lettore. Che ieri si è scusato, con il post che pubblichiamo in questa pagina. E che forse non aveva parole più sofisticate per definire quella modalità, propria di Conte, di alzare a mille il livello della tensione per tenere tutti sulla corda, giocatori e società.

Italo Cucci non ha bisogno di avvocati difensori. Sa bene che i personaggi pubblici devono sottostare a un diritto di critica più ampio, rispetto ai comuni mortali, e ha già spiegato su queste colonne la sua scelta di non censurare quell’espressione. Mi limito perciò all’esegesi di ciò che ha risposto, con la sagacia, l’ironia e l’empatia del decano e maestro di giornalismo qual è: quando dice al tifoso «Alla sua cattiveria aggiungo la mia», e poi ricorda all’Inter che «Senza Icardi ha buttato via la Champions», sta spostando il fuoco della censura dal soggetto (Conte) al contenuto (le scelte di mercato dell’Inter). Ma forse è proprio questo nobile esercizio di pedagogia, con cui Cucci riporta il giudizio sulle persone al giudizio sui fatti, a far venire il mal di pancia ai dirigenti interisti. Incapaci di accettare la piccola grande verità che esso contiene. E che molti tifosi nerazzurri hanno avuto subito ben presente.

Mi chiedo, caro Direttore, se possiamo farci una ragione di questa gratuita violenza contro la nostra libertà. E mi rispondo che sì, possiamo farcela. Così come abbiamo accolto con noncuranza gli epiteti di un altro presidente che, rivolgendosi a chi scrive, in conferenza stampa ci ha apostrofato: «Come cazzo si chiama». Noi abbiamo, in ragione del rispetto che dobbiamo ai lettori, un dovere di tolleranza speciale.

Però queste vicende sono un campanello d’allarme. Perché ci dicono quanto un certo collateralismo faccia il potere più sprezzante e la nostra funzione più debole. Lo hanno capito a pieno l’Ordine dei giornalisti e l’Ussi, scesi in campo a difendere la libertà di informare e di criticare. Ma fa sorridere, per non dire peggio, il modo con cui alcuni colleghi hanno reagito alla cancellazione della conferenza stampa decisa dall’Inter. Ignorando l’inquietante messaggio di una società che pretende, sottraendosi al confronto, di «dare un segnale a tutti i media», si sono preoccupati unicamente di dire ai dirigenti nerazzurri: perché ve la prendete anche con noi, e non solo con il Corriere dello Sport? C’è chi è arrivato a rispolverare l’etica di Mao, un signore che certo ha molto poco da insegnare in tema di libertà. Non a caso sosteneva la necessità di colpirne uno, per educarne cento. Mentre in questo caso l’Inter avrebbe fatto il contrario. Colpendo tutti, per educarne uno. E sollevando, aggiungiamo noi, una nube di stupore nella riverente platea da cui è circondata.

Caro Direttore, questa infantile e sleale concorrenza sui valori ci fa più fragili rispetto a un Palazzo abituato sempre più a raccontarsi e a celebrarsi da sé. Perciò di questi tempi la nostra indipendenza è la migliore offerta che dobbiamo ai lettori. Se pure non aiuterà il calcio a rimontare il ritardo culturale che lo attanaglia, sarà un argine a cui appendere la fiducia di poterlo ancora cambiare. Per questo ti ringrazio della libertà di cui ti sei fatto fin qui garante.

 


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