Imbriani: Il mio viaggio in Usa in ricordo di Carmelo

Il 15 febbraio di sette anni fa moriva Carmelo Imbriani, ex calciatore diventato modello di sportività. Da allora il fratello, Gianpaolo, gira il mondo per raccontare la sua storia: in Usa ha incontrato scolaresche, tv, giornalisti, e una lunga catena di solidarietà. Con un grande sogno davanti: creare cinque campi intitolati a Imbriani e ispirare una canzone di Jovanotti
Imbriani: Il mio viaggio in Usa in ricordo di Carmelo
Massimo Basile
7 min

NEW YORK - «Il mio primo obiettivo è far conoscere la storia di mio fratello. Ma sono convinto che un giorno riuscirò anche nel realizzare il sogno: avere cinque campi intitolati a Carmelo, uno in ogni continente». Dopo centoundici Paesi e trecentomila chilometri, Gianpaolo Imbriani adesso è qui, seduto davanti al bancone di un pub di Manhattan, mentre alle spalle scorrono immagini di partite che arrivano da tutto il mondo. I tifosi di Inter e Milan seguono il derby al piano inferiore, mentre attorno ci sono quelli di River, Borussia Dortmund, squadre messicane, ecuadoriane, brasiliane. Luogo simbolico: qui dove si raduna il mondo del calcio, c'è quest'uomo di 40 anni che in ricordo del fratello calciatore sta girando il mondo. Dall'Africa al Kazakistan, dal Malawi al Brasile, Imbriani è un moderno Kerouac: viaggia in autostop, dorme dove lo ospitano, e racconta, ricorda, affabula, incanta le platee parlando del fratello, morto a 37 anni per una malattia, rimasto nel cuore di migliaia di tifosi.

L'anniversario

Il 15 febbraio è il giorno dei sette anni della scomparsa, di quando lasciò la moglie e i due bambini piccoli. Per il Napoli è stato «professionista modello e uomo vero», per il Benevento «esempio da seguire, uomo da ammirare, memoria da onorare». Per Gianpaolo è molte cose ancora: il fratello che tornava la notte dopo le partite e gli portava le magliette degli avversari. «Un giorno chiesi quella del mio idolo - racconta - Manuel Rui Costa, giocava nella Fiorentina. Carmelo tornò a notte fonda, io facevo finta di dormire per come ero eccitato... Mi svegliò e disse: sai di chi ti ho portato la maglia? Lo sai? E io, felice all'idea, dissi: chi? 'Gabriel Omar Batistuta'. Ricordo come ci restai male». Carmelo era quello che un giorno chiese a bruciapelo: «Perché giochi a calcio?». E quando Gianpaolo gli aveva confessato di non amare giocare sotto la pioggia, il fratello commentò: e allora continua a farlo solo per divertimento. E poi quella volta in ospedale, quando pianse per la prima volta e gli chiese: «Chi si occuperà dei miei figli?». «Fu l'unica volta in cui urlai di rabbia. Capii che era finita», racconta. Pochi giorni dopo il fratello morì.

La svolta

A distanza di un mese, Gianpaolo venne chiamato a Roma per ricevere un premio in memoria di Carmelo. «Durante il tragitto pensai che il mio compito doveva essere quello di viaggiare per raccontare a tutti la storia di un uomo buono, un ragazzo adorabile». Era il marzo 2013. Da quel giorno Imbriani non si è più fermato. Ha cominciato a sentire il fratello accanto. Uno può crederci o no. Il giorno del primo autostop. «Ero vicino alla frontiera con la Slovenia. Feci il gesto del pollice, prima volta in vita mia, quando mi sentii afferrare il braccio, come una stretta. Era la linguetta dello zaino che mio fratello mi aveva regalato. Era stata mossa dal vento o chissà...». Il giorno della prima volta a New York. Le porte della metro si aprono e... «E davanti vedo la gigantografia di un giocatore di basket dei Knicks. Il nome, Carmelo, Carmelo Anthony, e il numero 7, quello di mio fratello». Il pellegrinaggio a Santiago de Compostela. «I cartelli lungo la strada sono sacri, non puoi toccarli. Avevo attaccato un adesivo con scritto 'Imbriani non mollare', e poi ero tornato indietro per toglierlo, perché me n'ero pentito». Pochi metri. «E trovo su un altro cartello un nome inciso con il ferro, forse una chiave, da un pellegrino: Carmelo». Tra i ricordi c'è anche il momento più brutto. «Quando al confine con il Messico mi picchiarono e mi rubarono tutto, o quasi. Ma ogni disavventura serve a insegnarti qualcosa», aggiunge con aria zen. «Presi il passaggio di una ragazza e scoprii una app per trovare alloggio gratis. Fu la svolta. In sette anni ho pagato solo per cinque notti». Il viaggio è diventato una lunga catena di racconti e nuove amicizie. Qui a New York Gianpaolo è ospite di Antonio Galano, tifoso del Napoli, nato negli Stati Uniti, che lo ha accolto in casa senza chiedergli niente. «Tu non faresti lo stesso?», chiede. Già. Oppure Maurizio Ricci, proprietario di una catena di ristoranti in Connecticut, che ha inserito sul menù il simbolo di Imbriani, una vecchio furgone Volfswagen col messaggio "Imbriani non mollare" e invitato a fare donazioni.  E Giuliano Tornusciolo che ha organizzato un torneo ad Atlanta in onore di Carmelo e Rosario Procino, che l'ha accolto al ristorante Ribalta di Manhattan. E molti altri ancora. Ogni giorno, una storia. Gli alunni di una scuola elementare, la Strawberry Hill, lo hanno ascoltato e applaudito, giornali americani vogliono intervistarlo, una tv canadese lo ha contattato. E sul cellulare porta la foto dell'omaggio dei tifosi del Benevento al fratello.

Aspettando Jovanotti

«Un giorno riuscirò a raccogliere soldi a sufficienza per creare un campo anche qui». Imbriani ha girato un video, in cui utilizza le parole di una canzone di Jovanotti. «Mi piacerebbe che un giorno scrivesse un canzone per Carmelo, per ciò che rappresenta». La correttezza, l'altruismo, il rispetto dell'avversario, l'antirazzismo. Non sa che l'artista vive sei mesi l'anno poco distante da qui, ma le vie del web sono infinite. Di certo Imbriani non è un uomo da scorciatoie, non sembra averle inseguite e non lo fa ora. Non molla. Ha poesia dentro, è un sognatore testardo, prova certa della bontà della famiglia in cui è cresciuto il fratello. Lui andrà avanti, per stringere mani, raccontare una storia, mostrare la maglietta con l'immagine di due persone unite, disegnata da Keith Haring, la stessa tatuata da Gianpaolo pochi mesi prima di perdere Carmelo. E raccogliere donazioni. «Potrei ricevere centomila euro da Pippo Inzaghi, che allena il Benevento, ma preferisco ricevere un euro da centomila persone. Perché vorrà dire che centomila persone hanno conosciuto la sua storia». Centomila, come quelli che, oltre un secolo fa, donarono un dollaro per finanziare la costruzione della Statua della Libertà. E mai, come in questo momento, mentre ti racconta la sua storia, con in mano una birra, in mezzo ai tifosi, vedi in lui la libertà di un viaggio, la libertà di un sogno e di un ricordo. 

Per fare donazioni al progetto "Imbriani non mollare"
visitate il sito imbrianinonmollare.it


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