Sandulli: Al calcio serve una legge nuova e d'aiuto

Il presidente della Corte d’Appello della Figc lancia un messaggio di solidarietà ai calciatori e l’invito a riformulare normative nate nell’81
Sandulli: Al calcio serve una legge nuova e d'aiuto
Fabrizio Patania
4 min

Lo scudetto in bilico, la legge 91 da riformare, l’impatto non ancora calcolabile e provocato dal coronavirus in materia di diritto sportivo. Spunti nati dalla chiacchierata con il professor Piero Sandulli. La Corte Sportiva d’Appello della Figc, attraverso il suo presidente, ieri ha voluto inviare un messaggio di solidarietà ai calciatori. «Credo di interpretare il pensiero di tutti i giudici sportivi, non solo il mio e della Corte. Ci sentiamo vicini a tutti gli atleti professionisti e dilettanti che si trovano nell’impossibilità di esercitare l’attività. La legge del 1981 andrebbe finalmente riletta e riscritta dopo quasi 40 anni. Ora esprimiamo la solidarietà di fronte a un’epidemia che speriamo duri il meno possibile. Forse servirà perché tutti possano riflettere sui veri valori dell’uomo. Per il futuro, quando riprenderemo a poterci distrarre, ci auguriamo di avere una visione più completa dello sport. Sarebbe brutto tornare allo stadio e ascoltare cori di discriminazione razziale o territoriale. La meditazione aiuterà a capire meglio. E’ un invito per uscirne migliorati, più portati verso gli altri. Un motivo affinché prevalga il bene comune piuttosto che l’egoismo del singolo».

Certe tensioni continuano a prevalere. Presidenti di Serie A e medici in queste ore discutono sulla ripresa degli allenamenti.
«L’ultimo decreto governativo consente la possibilità agli atleti professionisti di allenarsi con un potere valutativo delegato ai medici sportivi. In questo momento, però, credo sia necessario lasciare spazio agli staff sanitari sulle opportunità e le modalità di allenamento. Nessuno è immune. Anche un medico della Samp è stato contagiato».

La federazione ha un obiettivo chiaro: portare a termine, se possibile, le ultime dodici giornate di Serie A.
«Il campionato concluso ce lo auguriamo tutti. Quando saremo tornati alla normalità, riprenderemo a parlare di calcio. Ora dobbiamo capire che i valori in ballo e prevalenti sono altri: riguardano la salute, i rapporti umani, la solidarietà che ognuno di noi può mettere in campo. Presto ci farà piacere riprendere le nostre sane abitudini, compreso lo stadio o lo spettacolo televisivo legato alla partita».

E se il coronavirus non dovesse fermarsi? Campionato finito?
«Tutti vogliamo tornare in fretta alla normalità della vita e ci auguriamo che il campionato si possa concludere entro il 30 giugno. Significherebbe esserne usciti. Preghiamo possa succedere. Il Paese ha bisogno di riprendersi anche dal punto economico. In caso contrario tutte le federazioni, non solo il calcio, dovranno occuparsi di questa evenienza, ma confido in una Pasqua di resurrezione per lo sport. Il 12 aprile non è poi così vicino».

Dipenderà dai tempi. C’è anche l’ipotesi di superare il 30 giugno e finire il campionato a luglio. Si può?
«Ci sarebbero vincoli contrattualistici da superare alla scadenza della stagione sportiva. Materia complessa e da studiare. Per questo motivo, come dicevo, andrà riscritta la legge del professionismo sportivo, prevedendo tutto ciò che manca. Non mi riferisco ai giocatori di vertice. L’assistenza previdenziale riguarda prevalentemente la base, le serie minori e quelli che consideriamo dilettanti ma dilettanti non sono. Non sono bastati quarant’anni per modificare la legge del 1981, ora bisognerebbe farlo seriamente. E’ necessario stabilire i confini tra lo sport di natura competitiva e quello necessario al movimento. Una nuova legge aiuterebbe a disegnare meglio la centralità del Coni. Il comitato olimpico nazionale deve avere una voce autorevole, non può essere intaccata. Esistono due esigenze, entrambe fondamentali: l’agonismo e l’educazione fisica. Sono due realtà distinte. Il rispetto dei confini deve passare necessariamente attraverso normative più chiare»


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