Juventus 1959/60-Juventus 1983/84 2-3: nello show dei numeri 10 le Roi Platini beffa Sivori

È una sfida tra grandi attacchi, con Charles, Paolo Rossi, Boniek. Ma alla fine è decisiva la super difesa del Trap, con tre protagonisti del Mondiale dell’82
Juventus 1959/60-Juventus 1983/84 2-3: nello show dei numeri 10 le Roi Platini beffa Sivori
Roberto Perrone
4 min

Le vecchie pietre del Comunale tremano quando spuntano dal sottopassaggio i giocatori che si stanno per affrontare. Due attacchi da (mettere) paura agli avversari, con i due più forti numeri 10 della storia bianconera a contendersi il titolo di “sommo fine dicitore di football”. Il pareggio non è contemplato. La Juventus del 1959-60 è quella del primo “doble” della storia bianconera, scudetto e Coppa Italia. A proposito, pensando ai tempi che stiamo vivendo, in cui l’avventura del calcio rischia di finire molto in là, la Coppa Italia del 1960 dura dodici mesi: dal settembre 1959 al 18 settembre dell’anno successivo. Nella finale di Milano Madama si impone per 3-2 sulla competitiva Fiorentina. La Juventus riesce nell’impresa finora raggiunta solo dal Grande Torino. Una formazione da capogiro. Ma quella del del 1983-84 non è da meno. Riemerge con vitalità dalla feroce delusione di Atene, dalla Coppa dei Campioni vinta dall’Amburgo grazie alla malignità di Magath, e allo scudetto aggiunge la Coppa delle Coppe (2-1 al Porto a Basilea).

Due Palloni d’Oro sono i simboli delle due squadre, genio, fantasia e carattere in comune, sregolatezza e ironia in opposizione. Omar “el cabezon” Sivori ha 25 anni, Michel “le Roi” Platini ne ha 29. Entrambi stanno vivendo il periodo d’oro della loro esistenza calcistica. Omar danza col pallone. In panchina c’è Parola, ma è il suo pigmalione Renato Cesarini, voluto espressamente nel ruolo di direttore tecnico dal capriccioso fenomeno, a cucirgli la condizione giusta per l’impresa scudetto-coppa. Michel va anche oltre, dopo scudetto e Coppa delle Coppe, concluderà la stagione trascinando la Francia al primo successo internazionale della storia, l’Europeo (casalingo) del 1984. Le due squadre, allo specchio, rimandano la stessa sensazione di forza ed equilibrio. In entrambe la forza sembra risiedere nell’attacco. La Juventus 1959-60 ha il suo trio delle meraviglie al gran completo. Giampiero Boniperti, la bandiera, il geometra di Barengo, è a fine carriera (la concluderà un anno dopo). Sta arretrando verso la grisaglia dirigenziale, nel frattempo si limita a farlo in campo facendo da raccordo e suggerimento per i due diversissimi e complementari attaccanti che stanno davanti a lui: John Charles e Omar Sivori.

Anche la Juventus più giovane ha un forza d’urto impressionante, con Platini, Boniek e il terzo Balon d’or in campo, Paolo Rossi, l’hombre del Mundial 1982. Accanto a Rossi si muove Penzo, che balla un solo campionato, ma balla bene. E allora dove troviamo la chiave di una partita dove si segna molto, cinque gol, perché con quei piedi, con quelle diverse capacità non può che esserci spettacolo? La Juventus ha sempre avuto grandissimi attaccanti e quelli raccolti su questo fazzoletto d’erba lo dimostrano. Anche i centrocampisti, Emoli e Umberto Colombo da una parte, Bonini e Tardelli dall’altra, si fronteggiano, quasi annullandosi.

Tutto vero. Ma la certificazione del successo, per tradizione, Madama l’ha ottenuta con la difesa, muro e proposta. Non è che quella del 1959-60 sia da buttare, c’è il giovane Castano, c’è il “vecchio” Cervato, difensore goleador (secondo solo a Facchetti: 45 reti contro 59 in serie A), c’è il duttile Benito Sarti, buono anche in mediana. Però Scirea, Gentile, Brio e Cabrini rappresentano la retroguardia più forte della storia juventina. Soprattutto quella capace di incidere a livello di club e di Nazionale con una continuità senza avversari. Quindi, quando Platini segna su punizione il definitivo 3-2, Scirea chiama a raccolta la squadra 1983-84 attorno e la porta di Tacconi, che ha appena preso il posto di (leggenda) Zoff, si chiude.

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