Senza fiducia ci tocca Speranza

Senza fiducia ci tocca Speranza© LAPRESSE
Alessandro Barbano
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Nel giorno in cui il ministro Spadafora fa melina sulla fine del lockdown per il calcio, dicendo ancora una volta tutto e il suo contrario, ma lasciando intendere che almeno gli allenamenti partiranno dal 4 maggio, il lockdown dà di sé due performance molte diverse, su cui riflettere. La prima è reale: riguarda i numeri del Paese che alla chiusura ha rinunciato, la Svezia. Meno di duemila morti, il picco dei contagi raggiunto il 15 aprile scorso, l’immunità di gregge a un passo, nessun divieto, scuole, uffici e fabbriche aperte, economia salva. E un solo errore: non aver protetto gli ospiti delle residenze per anziani, dove si contano i nove decimi dei decessi. Errore peraltro ammesso dalle autorità, a differenza di quanto accade in Italia. Dove nelle residenze per anziani sono stati allocati i malati di Covid, ma della strage che ne è seguita nessuno vuole attribuirsi la paternità. La seconda performance del lockdown è virtuale. Si riferisce a uno studio dei tecnici del ministero della Salute, realizzato a gennaio e secretato per volontà del ministro Roberto Speranza. In 55 pagine di grafici e tabelle c’è scritto che, se il governo non avesse fermato i motori dell’economia, isolato le zone rosse e chiuso in casa le persone, i morti sarebbero stati tra 600 e 800mila.

Dopo aver spento il Paese per due mesi, questo studio può voler dire due cose. Che i 25 mila morti italiani sono un risultato consolante, ancorché pagato con 10-15 punti di Pil. Oppure che quelle previsioni sono puri modelli matematici, ma senza realtà. Cioè spazzatura. Ma finché lo studio è secretato, nessuno lo potrà valutare. Né esiste una controprova fattuale, che ci mostri che cosa sarebbe accaduto in Italia, se avessimo adottato la più selettiva strategia svedese. Perché noi abbiamo fatto il contrario, e siamo ancora imbracati nel più rigido lockdown europeo.

Però le performance scandinave devono farci riflettere, anche se Stoccolma non è Milano, e anche se non è la stessa cosa disporre il distanziamento sociale nella tundra scandinava o piuttosto nella costiera amalfitana. Devono farci riflettere perché, adesso che si respira aria di ripartenza, al modello svedese dovremo rifarci. C’è un concetto che lo incarna e lo spiega: è la fiducia. Fiducia nel rispetto delle regole, fiducia nel distanziamento sociale, fiducia nella concordia parlamentare e tra le istituzioni. Contro il rischio permanente di un contagio, che può riesplodere, non abbiano altro mezzo: fiducia, o piuttosto depressione. È una sorta di depressione che ci fa vedere la Fase due come una montagna insormontabile. Un effetto della lunga segregazione a cui ci siamo sottoposti, introiettando l’idea che, stando immobili, siamo al riparo. Vale per i cittadini. Ma anche per chi decide. Ed è tentato dall’idea che la prudenza ci salvi sempre. È vero il contrario. La depressione, travestita di prudenza, può spegnere del tutto un Paese.

Il calcio corre lo stesso rischio. Spadafora ha capito che è un’economia importante e una fabbrica di emozioni di grande valore sociale. Ma teme di irritare i grillini che considerano il via libera un indebito privilegio. E teme di irritare il suo compagno di governo Roberto Speranza, che fin qui non ne ha azzeccata una, ed è abbarbicato al lockdown come un naufrago al suo relitto galleggiante. Così il ministro dello Sport prende tempo a modo suo, esibendosi in interviste, comunicati, messaggi in cui dice e non dice, ma assicura che lui vuole il bene del calcio, degli atleti, degli allenatori, dei presidenti, e perché no dei magazzinieri e dei raccattapalle. Il bene di tutti insomma.

Se professiamo la fiducia, dobbiamo credergli. E sorvolare anche sugli sgambetti in zona Cesarini dei presidenti dei club contrari a ripartire per biechi interessi di bottega, e sulle zuffe tra medici sportivi rivali, che pure portano a galla il quesito chiave della Fase due: che succede se troviamo un calciatore positivo? Torniamo a mettere in quarantena tutta la serie A? Ma scusate, se un positivo spunta alla Fiat, a Palazzo Chigi, nell’azienda di nettezza urbana di una grande città, fermiamo di nuovo tutto il Paese?

È ancora una volta questione di fiducia. I tedeschi, a cui non manca, hanno risposto così: stop al contagiato, tamponi selettivi sui suoi contatti diretti, e si torna a giocare. Magari con qualche ragazzo della primavera in panchina. Però si riparte, in nome della fiducia. A noi, che la fiducia non sappiamo coltivarla, tocca avere Speranza.


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