Torino 1948/49-Juventus 1983/84 2-1: Gabetto beffa il Trap e tifa per il sogno di Valentino

Segna Vignola, la Juve colpisce pali e traverse, poi pareggia Martelli. E Mazzola confida a Scirea: «In finalecon l’Inter di HH per rivedere Sandrino»
Torino 1948/49-Juventus 1983/84 2-1: Gabetto beffa il Trap e tifa per il sogno di Valentino
Angelo Carotenuto
5 min

SUPERTEAM, scegliamo la squadra più forte di sempre

Quando a fine partita si alzò una mano dal fondo della sala stampa per una domanda, Giovanni Trapattoni si sentì redarguito per l’unica cosa che in tutta la carriera nessuno gli aveva rimproverato mai. «Giovanni, scusa, non credi che fosse il caso di mettere un difensore in più?». Ecco, pensò Trapattoni: adesso le ho sentite tutte. In effetti c’era più di qualcosa di vero nella questione che gli veniva scaraventata addosso alla fine del Derby di Torino più bello di tutti i tempi, perduto dalla sua Juventus per 2-1, rimontata e battuta con un gol preso in contropiede al 90’. Viviamo di schemi, di preconcetti, di gabbie mentali, pensava Trapattoni mentre cercava una risposta. Nessuno direbbe mai, nemmeno oggi, che il cauto Trapattoni è l’allenatore che nella storia della Serie A ha chiuso più spesso un campionato con il miglior attacco (6 volte) e più spesso con uno dei primi tre (17 volte). Così come Arrigo Sacchi passa per il profeta del gioco d’attacco, sebbene il suo Milan non abbia mai avuto il record di gol segnati, anzi, il suo solo scudetto fu figlio della miglior difesa.

PABLITO E IL VICE LE ROI - In campo, di fronte al Grande Torino, tutto si era tradotto in un atteggiamento come sempre di grande equilibrio, ma costruito con giocatori giusti per un calcio di proposta. Paolo Rossi aveva galleggiato in fondo all’attacco, alla ricerca della centiara giusta nella quale allungare il piede nel solo istante in cui serviva. Come aveva scritto una volta Mario Sconcerti, «in area si alzava della polvere, intuivi un gruppo di corpi, e se la palla andava in porta era stato Paolo Rossi». Stavolta dopo 4 minuti invece era stato Vignola, preso dall’Avellino su suggerimento di Platini e arrivato per fargli da riserva. La partita con la Storia, Trapattoni aveva voluto giocarla con la stessa squadra che aveva vinto la Coppa delle Coppe a Basilea. Vignola fu il più lesto a poggiare la palla in porta mentre una mezza dozzina di magliette granata si affollava con una certa ingenuità intorno al capocannoniere del Mundial 82.

DA SQUADRA - Erbstein dalla sua panchina fece cenno alla squadra di restar calma, disse di giocare per divertirsi. Ma all’intervallo, dopo due pali su punizione di Platini, una traversa presa da Tardelli e un incrocio su tiro da fuori area di Cabrini, Erbstein fece notare che non aveva detto di far divertire gli altri. Trapattoni era stato incerto se mettere su Valentino Mazzola un centrocampista (Tardelli) o un difensore (Gentile). Aveva scelto Gentile e aveva fatto male. Valentino cambiò nell’intervallo la maglia che quello gli aveva già lacerato intorno al 20’ e il Grande Torino passò alla seconda parte del Piano. Che consisteva nell’essere finalmente la squadra che era. In 4 minuti era arrivato il pareggio con Martelli, il mediano per il quale una volta la squadra si era decurtata lo stipendio. Mazzola cominciò a tenere Gentile sempre più lontano dalla linea difensiva mentre Loik preparava la stessa trappola per Brio. Davanti a una Juve così sbilenca e sterile, Gabetto prese la palla e a quel suo modo consueto di muoversi, ciondolando, puntò all’ultimo minuto verso Tacconi, con così tanto e tanto prato davanti da poterci far correre i bufali del Dakota. Gol. Incredibile. L’ultima squadra offensiva prima dell’arrivo del catenaccio aveva vinto in contropiede. Scirea volle scambiare la maglia con Mazzola e uscendo dal campo gli domandò se credevano alla vittoria del titolo. «Gai, non so se m’importa vincere - fu la risposta - vorrei solo arrivare in finale. Contro l’Inter del Mago Herrera». «Perché Valentino» gli chiese Scirea notando che lo sguardo s’abbassava. «Niente. Per rivedere Sandro. Mio figlio. Solo una volta. Solo una volta ancora».


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